Omelie

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Veglia Pasquale nella Notte Santa 2017

[...] Noi tutti, entrando nella Chiesa buia, illuminata solo dal Cero e dalle nostre candele, ci siamo rivolti all’oscurità e alle tenebre come ad una beatitudine perché ormai non è più il luogo dell’assenza e della solitudine, ma è diventato il luogo della presenza di Dio. C’è questa paura ancestrale del buio che è antica quanto la comparsa dell’uomo sulla terra, con Cristo questo buio è diventato luce. Il cristiano è colui che avanza nel buio con l’assoluta certezza di essere nella luce.

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Giovedì Santo - Messa in Cena Domini (2017)

Questa mensa che celebriamo alla sera ci ricorda il momento della prima eucarestia vissuta da Gesù con i suoi discepoli. Qui non celebriamo un’eucarestia qualsiasi, ma anche noi riviviamo la prima eucarestia, anche noi siamo proiettati in quella sera come se non avessimo mai assistito ad una messa, come se vedessimo per la prima volta l’offerta del pane e del vino che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo. Qui siamo tutti neofiti, principianti perché possiamo cogliere il significato autentico del Dono per eccellenza, possiamo tornare a stupirci delle meraviglie che il Signore compie nella nostra vita. Il memoriale che noi celebriamo dice di più di una semplice memoria: oggi diventiamo suoi commensali; Gesù ci fa sedere alla sua stessa mensa, ci tratta da amici, vuole condividere con noi tutta la sua vita. È a tavola che si dicono le cose più importanti della vita, è a tavola che ci si sente davvero a casa.

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V Domenica di Quaresima (Anno A)

Il testo della resurrezione di Lazzaro veniva letto nella chiesa antica per i catecumeni che si preparavano al battesimo attraverso il terzo scrutinio. Diventava già un preannuncio della resurrezione di Cristo, lasciava intravedere l’Opera che Dio Padre avrebbe compiuto nel suo Figlio Gesù. Siamo ormai giunti alle soglie della settimana santa che ci prepara più da vicino al mistero della passione, morte e resurrezione. La resurrezione di Lazzaro anticipa quella che sarà il nostro destino futuro che non sarà un semplice ritorno alla vita come molte volte noi sogniamo per i nostri cari defunti. La resurrezione di Gesù ci dice che Dio vuole darci infinitamente di più rispetto a quello che l’uomo può desiderare. Dio non ci da delle cure palliative, dei contentini, dei surrogati di vita ma raggiunge la radice del problema, là dove l’uomo non può compiere nulla, non può fare nulla.

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II Domenica di Quaresima (Anno A)

Domenica scorsa il vangelo della tentazioni di Gesù ci faceva sperimentare che la nostra figliolanza per mantenersi tale deve essere messa alla prova attraverso le opere penitenziali. Oggi il vangelo ci fa intravedere il fine, lo scopo di questa figliolanza che è quella della trasfigurazione, della metamorfosi della nostra vita. Il Vangelo ci vuole portare a comprendere che la nostra vita non rimane sempre la stessa, che avrà un mutamento radicale ad opera di Dio e non per opera nostra. L’esperienza di Abramo è un’esperienza di trasfigurazione, dove è chiamato a lasciare la sua patria, la sua terra. Al momento della chiamata la Bibbia ci dice che Abramo camminava già verso la terra di Canaan insieme a suo padre e a suo fratello. Egli partirà senza padre e senza fratello – entrambi appena morti – e con una moglie, Sara, sterile. In questo contesto di morte e di sterilità, la voce di Dio che gli ordina di andarsene sembra beffarda e ingannevole. Eppure Dio gli dice di continuare il suo cammino nonostante le apparenze di morte. Dio fa così con ciascuno di noi: solo nel momento in cui noi ci sentiamo insicuri, inermi, senza certezze, con un passato che ci pesa sulle spalle, provenienti da un lutto che possiamo ascoltare la voce di Dio che c’invita a camminare e partire. L’imperativo “vattene” indica proprio questa necessita ci cambiare i suoi orizzonti, le sue vedute: “Va’ verso te stesso”. Oggi si tende a cambiare il nostro aspetto esteriore, a trasformare a volte la nostra identità, a seguire le mode del momento perché di natura nostra noi siamo portati a trasformarci, ma tutto questo è opera nostra, opera dell’uomo. Questa trasfigurazione avviene già adesso nel momento in cui noi lasciamo agire Dio, gli lasciamo l’iniziativa. È una trasfigurazione che non avviene all’esterno, ma nel nostro interno. Gesù rivela esteriormente la sua gloria nascosta dentro di sé, la sua identità divina.

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I Domenica di Quaresima (Anno A)

L’inizio di quaresima ci pone sempre molti interrogativi. Non sappiamo mai da dove iniziare per vivere questo tempo che la Chiesa ci offre. La sensazione è un po’ quella di chi inizia un percorso senza saperne la meta, senza sapere che cosa bisogna fare: abbiamo poche idee, ma molto confuse. Sentiamo parlare di conversione, ma da che cosa mi devo convertire? Sentiamo parlare di rinunce, ma per noi queste coincidono con l’eliminare il cioccolatino, il caffè, la sigaretta aspettando che tutto si concluda per ricominciare da capo. Che cosa comporta la quaresima? La quaresima è la ricerca di noi stessi, della nostra identità che è tentata continuamente di essere altro. Noi, fondamentalmente, siamo degli alienati, cioè pensiamo che la felicità sia sempre fuori di noi e che non risieda già nella nostra umanità. Nella prima lettura Eva è tentata di non essere più Eva. S’insinua il dubbio che quello che siamo non ci basta, che quello che Dio ci ha messo a disposizione sia troppo poco, nonostante avesse detto ad Eva che poteva mangiare di tutti gli alberi del giardino tranne uno. La tentazione è quella di “essere come Dio”: ecco l’insoddisfazione. Tutto nasce da una menzogna, da una distorsione della realtà, da una promessa di bene non mantenuta. È la pretesa dell’uomo di essere altro da sé. Invece di cercare di rimanere Eva, ella vuole proiettarsi in una realtà parallela che non esiste, che è illusoria. Quante volte pensiamo che quello che abbiamo non ci basta, che la felicità può essere pesata a chili.

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Mercoledì delle Ceneri

Con il mercoledì delle Ceneri inizia il grande tempo quaresimale: “un tempo di ascolto della parola di Dio e di conversione, di preparazione e memoria del battesimo, di riconciliazione con Dio e con i fratelli, di ricorso più frequente alle armi della penitenza cristiana: la preghiera, il digiuno, l’elemosina”.

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VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

La liturgia della Parola ci presenta in questa domenica il tema della memoria. Una delle nostre più grandi paure è quella di sentirci abbandonati, dimenticati. La più grande tragedia che ci possa capitare è quella di venire al mondo senza che nessuno ci abbia desiderati. Se non sappiamo da dove veniamo facciamo anche fatica a capire dove dobbiamo andare. La prima lettura ci dice che anche se ci fosse una mamma che si dimenticasse del proprio figlio, Dio non si dimenticherebbe mai.

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VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Il discorso della Montagna che continuiamo ad ascoltare anche in questa domenica assume dei contorni davvero radicali: il non covare dentro di sé l’odio per il fratello, la correzione fraterna, l’amore non solo per il fratello ma anche per il nemico. Fin quando si tratta di correzione, di non trattenere l’odio o il rancore, di amare il prossimo come se stesso, di dare in prestito possiamo ragionevolmente accettarlo; ma quando sentiamo parole come porgere l’altra guancia, lasciarsi strappare non solo la tunica, ma anche il mantello; costringere qualcuno a fare un miglio in più; l’imperativo: “amate i vostri nemici”; un Dio che fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti, ci pare davvero urtante e insopportabile anche al solo pensiero.

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VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Nel Vangelo di domenica scorsa Gesù ci ha invitati ad essere sale della terra e luce del mondo. Nessuno può vivere per se stesso ma ognuno di noi ha un compito e una missione per gli altri: il sale per dare sapore, spessore alla vita e la luce per portare la verità del Vangelo. “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male” ci dice il Siracide. Non ci sono altre vie percorribili o si intraprende la strada del bene o quella del male, non ci sono strade neutre per le quali possiamo “sopravvivere” o “vivacchiare” perché sopravvivere equivale ad intraprendere la strada del male. Chi si mette nell’atteggiamento di difendere la sua vita contro una vita ostile nei suoi confronti non potrà conoscere la vera sapienza. Poche persone conoscono la Sapienza del Vangelo perché la vita non è nient’altro che una continua difesa dei propri diritti, di ciò che si possiede, di una vita senza fastidi, senza intrusi e senza imprevisti.

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V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Dopo il grande scenario della proclamazione delle beatitudini come una sorta di prologo Matteo continua il discorso della Montagna approfondendo le esigenze della nuova Legge che ci è stata donata. Abbiamo dato un’occhiata all’indice per farci venire la curiosità, ora occorre leggere il contenuto di queste beatitudini e lo fa con due sentenze lapidarie, brevi ma intense: “voi siete il sale della terra”; “voi siete la luce del mondo”. Il sale è quell’elemento che se non c’è ce ne accorgiamo subito: tanto è vero che diciamo subito “manca il sale”; oppure ce ne accorgiamo fin troppo: “c’è troppo sale”. Il sale non è necessario che si veda, ma che si senta. Così è la nostra vita: non è necessario che si veda, che cioè abbiamo l’etichetta di appartenenza ad una categoria, ma che si senta che abbiamo sapore, consistenza, gusto. Come il sale non serve per se stesso ma è utile se messo insieme ad altro così anche la nostra vita non serve per noi stessi ma serve per gli altri: è assurdo che il sale perda la sua consistenza (“se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?”) come è assurda una vita conservata per sé.

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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Quante volte ci siamo incontrati e scontrati con le beatitudini? La loro cadenza, il loro ritmo, il loro suono ci affascinano, tanto da saperne qualcuna a memoria; ma rimaniamo sbigottiti e attoniti quando le confrontiamo con la nostra vita e diciamo a noi stessi: “non ce la farò mai a viverle tutte”. Ebbene quando noi diciamo questo ci sentiamo poveri, nudi, disarmati; è questo il sentimento giusto che dobbiamo percepire: la sensazione di essere distanti, lontani da questo ideale di felicità! È l’inizio per vivere le beatitudini: la nuova legge di Dio. Qual è la differenza tra la felicità del mondo e quella di Dio? La felicità del mondo è subito appagante; la felicità che ci propone Dio viene dilazionata nel tempo. La felicità del mondo è qualcosa che conquistiamo noi; la felicità di Dio è la sua conquista su di noi. Dio ha scelto un criterio per vivere la relazione con lui: la povertà, la debolezza. Colui che è felice non è chi ha di più, ma chi ha di meno e aspetta da Dio la sua pienezza. La vera felicità è di chi attende la sua pienezza da Dio e sente il bisogno di affidarsi continuamente a Lui. Ecco allora la prima beatitudine, la più urgente, quella fondamentale che se si vive questa, si è anche in grado di vivere tutte le altre: “beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli”.

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III Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - San Vincenzo Martire

Il vangelo che abbiamo ascoltato, come anche quello di domenica scorsa, non fa altro che prolungare il mistero del Natale. Anche qui si tratta di una manifestazione di Gesù agli uomini. “Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce”. Questa luce è Gesù che viene ad illuminare i popoli pagani, quelle regioni che erano messe ai margini della Giudea. Gesù avrebbe dovuto iniziare, come facevano i profeti, da Gerusalemme ed invece inizia la sua predicazione ai suoi confini per portare la sua Parola. Dio inizia sempre dalle periferie, come dice oggi molto bene Papa Francesco parlandoci di periferie esistenziali. Il cristiano è sempre colui che è invitato a guardare e a partire da quelle realtà più scomode, più lontane, più distanti dal proprio modo di vedere e di sentire. Una comunità cristiana che vive in modo pacifico la sua fede, pensando di bastare a se stessa, di non osare a fare ulteriori passi nei confronti di fratelli e sorelle distanti per cultura, religione, sensibilità, opinioni, povertà di ogni tipo non può vivere pienamente la propria vocazione e tradisce la propria natura per cui è stata pensata e voluta da Gesù stesso. Dio incarnandosi nel suo Figlio Gesù ha limitato la sua azione a delle regioni ben precise, non si è rivelato al mondo con una potenza irresistibile, ma si sottomesso anche lui alle leggi della natura umana, dello spazio e del tempo.

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Natale del Signore 2016 - Omelia

Che cos’è per me il Natale? Questo è il decimo anno, da quando sono sacerdote, che celebro questa notte santa eppure m’interrogo sempre con questa domanda. Che cos’è Natale te lo spiegano quando studi teologia o fai catechismo, ma mi accorgo ogni anno che passa che non basta sapere occorre sperimentare sulla propria pelle, così come Dio ha sperimentato con la carne il suo farsi uomo. Vi dico quello che ho sperimentato io quest’anno: nei bambini della scuola materna che esprimono la loro gioia perché ti attendono come Papa Francesco, ma anche negli anziani, negli ammalati, nei penitenti che non nascondono la loro fatica, le loro lacrime, la loro vulnerabilità. Dio ha voluto lasciarsi incontrare in questi due luoghi: una mangiatoia e una croce. La mangiatoia e la croce rappresentano i luoghi nei quali si è manifestata la vicinanza di Dio, il suo amore, la sua gloria.

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IV Domenica di Avvento (Anno A)

Siamo ormai giunti alle soglie del mistero del Natale del Signore. siamo nella fase dei preparativi che ha già coinvolto Maria e adesso coinvolge anche la vita di Giuseppe. L’irruzione del divino nella storia degli uomini e nella nostra storia personale sconvolge sempre le nostre esistenze. Non possiamo solo affidarci alla nostra ragione, ma aprirci al dono della fede significa lasciare che Dio agisca senza avere la pretesa di capire tutto. È proprio l’esperienza di San Giuseppe che ci indica come accogliere anche noi Gesù nella nostra vita. Il tema predominante in questo vangelo è quello del discernimento. Noi ogni giorno facciamo discernimento, facciamo le nostre scelte che includono alcune e ne scartano altre. Nel momento in cui scegliamo automaticamente ne escludiamo altre perché pensiamo che quella scelta sia la migliore; a volte facciamo anche delle scelte sbagliate perché non abbiamo ponderato bene tutte le conseguenze.

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III Domenica di Avvento - Gaudete (Anno A)

Siamo nella domenica della gioia perché il vangelo di oggi ci spiega di quale gioia si tratta, della gioia evangelica che è diversa da quella che ci propone il mondo. Il Vangelo ci narra dell’esperienza di prigionia del Battista. Sembrerebbe in questa situazione che non ci sia nessun presupposto per gioire. Chi di noi potrebbe gioire in un contesto di prigioni e quindi di sofferenza? La prigione per Giovanni rappresenta il completamento della sua missione che preannuncia anche quella di Gesù: prima di essere ucciso come il Battista Gesù sarà messo in prigione. Il Battista con questa domanda che affida ai suoi discepoli che diventano suoi portavoce, vuole trovare una connessione, una continuità tra la sua predicazione e quella di Gesù. C’è una evidente discontinuità. Giovanni pensava che Gesù dovesse completare la sua Opera di giudizio definitivo, ma nulla sembra far presagire questo, né tanto meno la pronta liberazione.

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Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

È sempre dolce e consolante celebrare la solennità dell’Immacolata in questo tempo di attesa e di operosità. Maria è la prima discepola del Signore che c’insegna ad attendere con fiducia l’avvento del Signore, lei che ha atteso la sua prima venuta nella storia degli uomini, ora è in attesa con noi, suoi figli, dell’ultima venuta definitiva del suo Figlio Gesù. Maria che ha generato nella carne Dio che si è fatto uomo, ora vuole generare in noi, nella nostra umanità, il suo Figlio perché lo accogliamo nella fede e lo attendiamo con perseveranza nel bene e nell’amore. Se per mezzo di Maria incominciò la salvezza, per mezzo di Maria deve essere compiuta. Nella seconda venuta del Figlio, Maria deve essere conosciuta e rivelata per opera dello Spirito Santo, affinché per mezzo suo Gesù Cristo sia conosciuto, amato e servito.

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II Domenica di Avvento (Anno A)

“Convertitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino”. È l’annuncio del Battista che verrà ripreso con forza da Gesù. Domenica scorsa ci eravamo soffermati sul significato del tempo: la maggior parte di esso la viviamo nell’ignoranza e nella paura di ciò che accadrà se non viviamo questo tempo in prospettiva dei beni futuri: o viviamo la relazione con Gesù come quella di un ladro che viene a “rubarci” le cose della nostra vita o viviamo la relazione con Lui nell’attesa di ricevere qualcosa di nuovo e di sorprendente: il Regno dei Cieli. Chi è già appagato delle cose di questa terra non potrà mai aspettarsi nulla di nuovo da Dio e non attenderà nessuno; chi invece si mette in quell’atteggiamento di essenzialità e povertà si attenderà da Dio cose sempre nuove. È per questo motivo che il Battista vive la condizione del Popolo errante nel deserto. Il suo è un ritorno alle origini.

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I Domenica di Avvento (Anno A)

“Come furono i giorni di Noè”. È emblematica la storia di Noè preso come paradigma della nostra vita. I tempi di Noè sono i miei tempi, la mia vita. In questa prima parte dell’avvento siamo invitati ad entrare nel mistero del tempo su questa terra. Come noi viviamo il nostro tempo? Che cosa ci dice la storia di Noè? Noi passiamo la maggior parte del nostro tempo inconsapevoli di quello che avverrà: “mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito senza accorgersi di nulla”. Questa è la triste realtà dell’umanità! Quanti uomini e donne vivono in questo “pacifico” dramma. Quando solitamente ci arriva una cosiddetta “tegola” sulla nostra testa, all’improvviso siamo catapultati in un mondo che prima non ci apparteneva; questo solitamente non avviene gradualmente, ma dall’oggi al domani. Un lutto, una disgrazia, una malattia, una preoccupazione, un’ansia, come del resto anche gioie improvvise, buone notizie ci raggiungono in modo improvviso.

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Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo (Anno C)

In quest’ultima domenica del tempo ordinario si conclude il grande Giubileo della Misericordia con la chiusura della Porta Santa. Il Vangelo e la liturgia odierna accompagnamo questo rito e l’icona del Vangelo svela il senso di quello che abbiamo vissuto. Sicuramente molti ne hanno approfittato per sperimentare più da vicino la misericordia del Padre e questi hanno portato frutti di vita eterna, altri si sono lasciati sfuggire questa esperienza e non si sono lasciati raggiungere dalla misericordia di Dio, come il Popolo che “stava a vedere”, oppure di coloro che hanno rifiutato di accogliere questo Dono di grazia. Il Giubileo è anche questo: il mistero del rifiuto della misericordia di Dio. Nel vangelo si alterna questo rifiuto di riconoscere in Gesù il messia da parte dei sacerdoti, dei soldati, di uno dei malfattori, oppure di coloro come il buon ladrone che hanno ricevuto la promessa della salvezza.

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Solennità della chiesa locale (Anno C)

La solennità che celebriamo in questa penultima domenica del tempo ordinario ci fa vivere il mistero della nostra appartenenza alla Chiesa, di quel legame invisibile ma forte che esiste tra noi e con il Signore Gesù. Oggi viviamo nell’epoca della crisi di appartenenza, della fragilità dei legami umani. Impoverendo l’immagine che noi ci siamo fatti di Dio, inevitabilmente abbiamo impoverito anche l’immagine dell’uomo e della donna. La Parola di Dio ci dice che è possibile rimanere uniti tra di noi se c’è all’origine della nostra esistenza un principio unificatore che garantisca il nostro essere Chiesa, la formazione della nostra comunità cristiana: questa realtà è espressa con l’immagine della vite e dei tralci che spiega, attraverso questo simbolismo agricolo, che cosa avviene in noi.

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