“Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti…”. “Ogni giorno erano perseveranti…”. Ciò che identifica i cristiani è la comunione, lo stare insieme, in modo particolare la perseveranza. La perseveranza dice una fedeltà che non dipende da noi, ma da uno stato in cui tutti noi ci troviamo: dal fatto di essere tutti battezzati! Il Battesimo è la porta d’ingresso nella comunità cristiana. Spesso però si rimane sulla porta d’ingresso senza entrare nella Chiesa. Questo entrare e rimanere ha il sapore della perseveranza. Senza questa virtù non possiamo formare la Chiesa. Lo stesso Vangelo va in questa direzione; ci da un tempo preciso: il primo giorno della settimana, cioè la domenica e ci da un luogo specifico: il cenacolo. Gesù viene in questo tempo e luogo specifico in cui si riuniscono i discepoli e lì che si lascia incontrare il Signore Risorto. Il vangelo ci narra dell’assenza di uno dei discepoli: Tommaso. L’incredulità non è solo nei confronti di Gesù che appare agli altri, ma consiste nel non credere all’annuncio ricevuto dagli altri che ne hanno fatto esperienza. Noi non possiamo incontrare il Risorto senza la Chiesa, senza essere perseveranti nella comunione. La pretesa di fare esperienza del Risorto toccando le sue ferite non può essere fatta in modo solitario, distante, di nascosto, ma insieme ad altri! A che cosa servirebbe la nostra fede senza che questa sia comunicata ad altri? Senza condividerla con nessuno? A che cosa servirebbe vivere in modo solipsistico, intimo, personale la nostra relazione con Signore se non siamo capaci a condividerlo con chi mi è accanto. Posso essere nel posto più bello di questo mondo, ma se non lo condivido con la persona a cui voglio bene, quel posto non dice proprio nulla alla mia vita; posso essere nel posto più brutto e orribile di questo mondo, ma se c’è comunione, condivisione, relazione quel posto acquista un valore. Noi siamo fatti per metterci in relazione gli uni con gli altri, per formare la Chiesa e vivere in essa con perseveranza. Il grosso dilemma oggi non è tanto che la Chiesa trovi difficoltà ad annunciare la fede, quanto piuttosto fare Chiesa, formare la comunità. Il sacerdote non è solo la guida spirituale, ma è prima di tutto colui che raduna i battezzati a celebrare e lodare le meraviglie che il Signore compie nella loro vita. È questa la cosa più difficile in assoluto. Non possiamo rimanere nella Chiesa come ospiti graditi, ma, come direbbe san Paolo, concittadini dei Santi e famigliari di Dio. La Chiesa è un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce con il passare del tempo. Perché è difficile rimanere Chiesa, essere Chiesa? Perché dobbiamo amare Gesù pur senza averlo visto!: “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. È questo che ci logora, ci stanca. Perché viviamo nel regime della fede e non ancora della visione. Ciò che non ci fa perdere la fiducia nel Risorto, che ce lo fa incontrare, desiderare è proprio il nostro stare insieme, la nostra perseveranza. Se io non credo o mi sono stancato di seguirlo, ci sarà sempre un fratello o una sorella accanto a me che testimonia che lui è sempre lì, che c’è, che è presente, che è al suo posto! Invece noi abbiamo la pretesa d’incontrarlo senza stare con gli altri, come Tommaso. Noi possiamo professare Gesù: “mio Signore e mio Dio”, solo con i fratelli e sorelle che mi stanno dietro le spalle, che sorreggono il mio sguardo di fede.