Presepe sfondo

Che cos’è per me il Natale? Questo è il decimo anno, da quando sono sacerdote, che celebro questa notte santa eppure m’interrogo sempre con questa domanda. Che cos’è Natale te lo spiegano quando studi teologia o fai catechismo, ma mi accorgo ogni anno che passa che non basta sapere occorre sperimentare sulla propria pelle, così come Dio ha sperimentato con la carne il suo farsi uomo. Vi dico quello che ho sperimentato io quest’anno: nei bambini della scuola materna che esprimono la loro gioia perché ti attendono come Papa Francesco, ma anche negli anziani, negli ammalati, nei penitenti che non nascondono la loro fatica, le loro lacrime, la loro vulnerabilità. Dio ha voluto lasciarsi incontrare in questi due luoghi: una mangiatoia e una croce. La mangiatoia e la croce rappresentano i luoghi nei quali si è manifestata la vicinanza di Dio, il suo amore, la sua gloria. Il segno di Natale descritto dall’angelo ai pastori è un segno di manifestazione ma anche un segno di salvezza: “un bambino in fasce e adagiato in una mangiatoia”. Dio non si manifesta e non ci salva se non nell’umiltà più profonda, e questo bambino adagiato in una mangiatoia sarà lo stesso che verrà legato per le mani e portato in croce. Siamo invitati a riconoscere Cristo solo in questi due luoghi; eppure sono pochi quelli che lo trovano e lo cercano perché pensiamo di trovare Dio al di fuori di questi due luoghi. Perciò sprechiamo la nostra vita senza trovare Dio. È nella semplicità dell’infanzia che lo riconosciamo, è nelle catene della debolezza, della vulnerabilità, nell’affidarsi a Dio, nell’obbedienza ad accettare anche la morte che sorge in noi la luce della sua divinità. Nella povertà della nostra condizione umana e nella povertà della nostra carne noi possiamo incontrare Dio, possiamo contemplare la sua gloria. La gloria indica un “peso”; ci dice di quale “pasta” noi siamo fatti. È nel momento di massimo sforzo che si rivela chi davvero siamo, e nelle situazioni critiche e complicate che riusciamo a “pesare” la nostra vita, qual è la nostra “gloria”. Noi conosciamo di che “pasta” è fatto Dio perché con l’incarnazione ha raggiunto il massimo sforzo del suo amore per l’umanità. “Diede alla luce suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. Quando anch’io non troverò posto nell’alloggio allora è lì che lo troveremo.

L’uomo è di per sé debole nonostante si mostri forte, potente e violento. La vera forza e dalla quale proviene ogni vittoria è quella che attingiamo dalla grazia di Cristo: “ti basta il mio amore: la forza infatti diventa perfetta nella debolezza” (2 Cor 12, 8-9).

Dio non è venuto nel mondo come ospite che ci è venuto a trovare, ha ascoltato le nostre lamentele e ci ha dato la sua benedizione. Non ci ha lasciato la ricetta come evitare i guai, le fatiche della vita, come risolvere i problemi senza nessuna fatica. Il Natale è il desiderio di Dio di soffrire realmente insieme a noi, fino al fango della mangiatoia, per innalzarci dalla nostra umiliazione alla gloria. Nascendo Dio ha deciso di vivere come noi, patire come noi la debolezza del corpo, sentire la sofferenza del peccato e del male, pagare il prezzo di tutto questo a causa dei nostri peccati, attraversare la paura della nostra morte. Come Dio ha fatto risorgere la nostra natura, sconfiggendo la morte, distruggendo il potere del peccato e riconciliandoci con il Padre. Questo è il senso profondo del grande annuncio di gioia: “oggi è nato per voi un Salvatore”.

Sia lodato Gesù Cristo