Questa mensa che celebriamo alla sera ci ricorda il momento della prima eucarestia vissuta da Gesù con i suoi discepoli. Qui non celebriamo un’eucarestia qualsiasi, ma anche noi riviviamo la prima eucarestia, anche noi siamo proiettati in quella sera come se non avessimo mai assistito ad una messa, come se vedessimo per la prima volta l’offerta del pane e del vino che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo. Qui siamo tutti neofiti, principianti perché possiamo cogliere il significato autentico del Dono per eccellenza, possiamo tornare a stupirci delle meraviglie che il Signore compie nella nostra vita. Il memoriale che noi celebriamo dice di più di una semplice memoria: oggi diventiamo suoi commensali; Gesù ci fa sedere alla sua stessa mensa, ci tratta da amici, vuole condividere con noi tutta la sua vita. È a tavola che si dicono le cose più importanti della vita, è a tavola che ci si sente davvero a casa. Il Signore ci considera adulti da poter prendere e mangiare ma molti cristiani preferiscono rimanere ancora nel “seggiolone”. Chi sta nel seggiolone sta sì a tavola con gli altri, ma non è capace a mangiare da solo perché deve essere continuamente imboccato, deve essere messo in una sedia speciale che lo sorregga perché altrimenti potrebbe cadere. Questa liturgia si caratterizza per un duplice aspetto: l’eucarestia che viene svelata davanti a noi è la stessa che verrà nascosta davanti ai nostri occhi. Ci viene svelata prima di tutto attraverso la lavanda dei piedi. Non è una sacra rappresentazione, ma si tratta di una rivelazione. Diversamente dai sinottici, l’evangelista Giovanni non riferisce i gesti rituali di Gesù, ma richiama invece l’attenzione sul gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi e insegna loro a fare altrettanto. Gesù non comanda di ripetere un rito, ma di fare “come” lui, quasi a dire che ogni atto, ogni gesto di cura e di amore acquista un valore sacramentale, ha un carattere sacro. Noi possiamo vedere con i nostri occhi ciò che è nascosto nell’eucarestia. Il sacramento dell’amore nascosto nel pane e vino consacrati diventano storia nella nostra vita. Lavare i piedi per Gesù diventa una liturgia del prendersi cura che richiede un alzarsi, deporre le proprie vesti, prendere un asciugatoio, cingerselo, versare dell’acqua in un catino, lavare i piedi ed asciugarli. Gesù si prende cura di noi incontrando la nostra persona attraverso i piedi: la parte più a contatto con la sporcizia, che richiede di abbassarsi fino a terra, segno di un Dio che non disdegna la polvere, la terra, la sporcizia, ma interviene per assumerla. Pietro si scandalizza di questo atteggiamento dove sembra che non ci sia reciprocità; Pietro vorrebbe lavare i piedi a Gesù e non il contrario. Gesù chiederà la reciprocità a Pietro, ma prima deve capire il gesto di Gesù. Anche oggi ciò che manca nelle nostre comunità è la reciprocità: si chiedono i sacramenti, si fa la comunione ma senza restituire nulla alla propria comunità. Abbiamo reso anche l’eucarestia un dono non per vivere da fratelli e condividere, ma semplicemente da consumare.

L’eucarestia ci viene anche nascosta attraverso la reposizione e l’adorazione eucaristica. Non viene esposta in modo solenne, ma viene nascosta in un altro tabernacolo alla nostra vista perché possiamo credere che il Signore non ci abbandona mai, che è sempre con noi anche se nel silenzio e nel nascondimento. Il Signore è qui, presente in noi e in mezzo a noi, ma attendiamo con perseveranza la sua manifestazione definitiva ad ogni uomo; vegliamo e adoriamo perché non ci stanchiamo di attenderlo e di ricercarlo nella quotidianità della nostra vita.