Quante volte ci siamo incontrati e scontrati con le beatitudini? La loro cadenza, il loro ritmo, il loro suono ci affascinano, tanto da saperne qualcuna a memoria; ma rimaniamo sbigottiti e attoniti quando le confrontiamo con la nostra vita e diciamo a noi stessi: “non ce la farò mai a viverle tutte”. Ebbene quando noi diciamo questo ci sentiamo poveri, nudi, disarmati; è questo il sentimento giusto che dobbiamo percepire: la sensazione di essere distanti, lontani da questo ideale di felicità! È l’inizio per vivere le beatitudini: la nuova legge di Dio. Qual è la differenza tra la felicità del mondo e quella di Dio? La felicità del mondo è subito appagante; la felicità che ci propone Dio viene dilazionata nel tempo. La felicità del mondo è qualcosa che conquistiamo noi; la felicità di Dio è la sua conquista su di noi. Dio ha scelto un criterio per vivere la relazione con lui: la povertà, la debolezza. Colui che è felice non è chi ha di più, ma chi ha di meno e aspetta da Dio la sua pienezza. La vera felicità è di chi attende la sua pienezza da Dio e sente il bisogno di affidarsi continuamente a Lui. Ecco allora la prima beatitudine, la più urgente, quella fondamentale che se si vive questa, si è anche in grado di vivere tutte le altre: “beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli”. Il Vangelo non si sofferma semplicemente su una povertà materiale, ma su una povertà radicale che può provenire solo dall’incontro tra lo spirito dell’uomo e lo Spirito di Dio. Si tratta della povertà integrale: se sono povero in spirito avrò anche un rapporto di sobrietà con i beni di questo mondo. Infatti ci possono essere “falsi poveri” orgogliosi, prepotenti, violenti; ma ci possono essere “ricchi da vetrina” che elargiscono il loro superfluo senza staccare il cuore dai beni di questo mondo. Il povero in spirito è colui che, se è nell’abbondanza, è anche consapevole che la sua vita non dipende dai molti beni; se è indigente non si ribella, ma accetta ogni piccolo dono come provvidenza di Dio. Coloro che piangono non sono i “piagnoni”, quelli dalla lacrima facile, ma coloro che versano le loro lacrime perché Dio non è amato, non è compreso, coloro che piangono sui propri peccati e sul fatto di non amare abbastanza Dio. Coloro che sono miti non sono quelli che si lasciano calpestare dagli altri, non sono vittime di bullismo, ma coloro che rinunciano ad ogni forma di violenza, di sopraffazione per affermare il proprio io, i propri diritti, anzi sono coloro che lottano attraverso la non-violenza; coloro che hanno fame e sete di giustizia non sono quelli che predicano il giustizialismo, il perbenismo ma coloro che hanno fame e sete di santità, che hanno fame e sete del Vangelo, della verità, di conoscere la volontà di Dio e di accoglierla nella propria vita; i misericordiosi non sono coloro che compatiscono le povertà e i limiti degli altri, ma coloro che perdonano di cuore al loro prossimo, che accettano anche le umiliazioni della vita, coloro che vivono l’inno alla carità di san Paolo: la carità tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta; i puri di cuore non sono coloro che sono senza peccato, senza macchia ma coloro che sono sinceri con se stessi, con gli altri e con Dio, riconoscendo i propri sbagli ed errori alla luce della fede, che non vivono nell’ambiguità della vita, che non hanno doppie vite o segreti contro gli altri da tenere gelosamente custoditi: non c’è nulla di segreto che non debba essere rivelato. Gli operatori di pace non sono quelli che sfilano con le bandiere in mano o denunciano con gli slogan la guerra e l’ingiustizia, ma coloro che si mettono in mezzo tra i due litiganti, che pagano di persona, coloro che sono disposti a perdere la propria pace perché altri possano ritrovare la pace perduta.

Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il Regno dei Cieli: con quest’ultima beatitudine abbiamo chiuso il cerchio. Si è partiti dal possesso del regno dei Cieli con la povertà in spirito e si è arrivati ancora una volta al possesso del Regno dei Cieli attraverso la giustizia: c’è un’inclusione nel testo delle beatitudini. Essere perseguitati per la giustizia significa non vergognarsi del vangelo, non vergognarsi di essere cristiani. Il vangelo non può che trovare ostacoli, insidie e resistenze da parte degli uomini: è questo il suo habitat naturale e non dobbiamo stupirci se viene rifiutato. Anche nel momento in cui il Vangelo viene rifiutato noi stiamo comunque evangelizzando. La vera beatitudine è possedere Dio a tutti i costi: ma ne siamo davvero convinti? Davvero pensiamo che la felicità per noi oggi, la cosa più importante è conoscere e possedere Dio nel suo figlio Gesù?