È bello poter celebrare la solennità di Ognissanti in questo luogo dove abbiamo i nostri cari defunti. Oggi qui si respira il profumo dei fiori freschi che ci richiama il profumo della santità. È il luogo più idoneo dove noi sperimentiamo la “comunione dei santi”: la Chiesa pellegrina su questa terra insieme alla Chiesa del Cielo con i nostri cari defunti. Questo è un luogo di santità e di santificazione perché qui, tra i nostri cari, ci sono dei santi, ma ci sono anche coloro che stanno compiendo il cammino di purificazione per arrivare alla piena maturità. Noi siamo qui per loro, per aiutarli, ma anche loro ci aiutano a recuperare quella nostalgia della santità, del bello e del vero: il nostro anelito di Dio e del Paradiso. Il cimitero non è altro che l’anticamera del Paradiso, dove iniziamo a sperimentare la solidarietà tra di noi, dove veniamo radunati non per necessità, ma per affetto, per compassione.

Il libro dell’Apocalisse non ci narra la fine, ma il fine della Storia, verso il quale tutti siamo orientati. È la narrazione della liturgia che si compie in Cielo verso cui noi tutti siamo in cammino come pellegrini.

Siamo invitati a fissare il nostro sguardo su questi 144.000 mila, un numero perfetto (12X12X1000) che ci manifesta una prima verità: la santità appartiene a tutti, non è un’eccezione per pochi. Essa va oltre i confini della chiesa visibile e abbraccia tutti i popoli, le nazioni e le diverse razze.

In secondo luogo osserviamo che questa moltitudine è composta da coloro che portano un sigillo sulla fronte. È il segno di un’appartenenza e di una consacrazione a Dio. Noi, a chi apparteniamo? Spesso noi battezzati ci dimentichiamo che siamo portatori di un sigillo invisibile, ma presente, che ci è stato conferito mediante le unzioni con il crisma nel Battesimo e nella Cresima.

Terzo: i Santi sono avvolti da vesti candide. Solitamente definiamo il bianco come un colore, ma in realtà il bianco non è un solo colore: è la sintesi di tutti i colori. Cosa rappresenta la morte se non la sintesi di tutta la nostra vita? Se io dovessi fare sintesi, oggi, della mia vita, quale sarebbe il risultato? Il candore degli abiti, ci dice l'Apocalisse, è raggiunto attraverso il rosso, il colore del sangue; cioè attraverso il crogiuolo della fatica della vita e della sofferenza, della donazione di sé.

Chi dei nostri cari è morto indenne senza passare attraverso la “grande tribolazione” della morte? L’esperienza di Gesù e delle beatitudini ci narra di una felicità che, lungi dall’essere un evitare la sofferenza e la fatica, implica il dono della vita. Gesù, attraverso la sua vita e le beatitudini, c’insegna che la felicità è cosa semplice; siamo noi che l’abbiamo complicata e resa sofisticata andando a scovare questa felicità in mille altri modi.

Ha scritto frère Roger di Taizé: “Ciò che rende felice un’esistenza è avanzare verso la semplicità: la semplicità del cuore e della nostra vita. Perché una vita sia bella, non è indispensabile avere capacità straordinarie o grandi possibilità: l’umile dono della propria persona rende felici”. Il segreto della felicità di Gesù e dei Santi è stato la fede nella paternità di Dio: si sono spogliati delle loro pretese per vivere delle cose essenziali della vita: la purezza di cuore, la povertà di spirito, la misericordia, la capacità di sopportare persecuzioni e ostilità.

Infine, questi Santi stringono tra le loro mani una palma. Si tratta di una palma recisa, segno che la loro vita è stata ormai recisa, a volte in modo violento (del resto anche noi portiamo fiori recisi). La palma è però anche il segno della gloria e del trionfo sulla morte e sul male. Il dolore, la testimonianza di vita e la rinuncia di sé non generano morte e fallimento, ma gloria e vita eterna.