«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?»

Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»

Il verbo amare è il verbo più bello del mondo. È quella realtà che tutti conosciamo ma a cui non siamo in grado di dare una definizione o, meglio, a cui ognuno di noi ne darebbe una diversa dall’altra. Spesso usiamo la parola “amore” come sostantivo e non come verbo: si sente spesso parlare di amore (ad esempio nella triade: lavoro, fortuna, amore), ma si sente poco la forma verbale di amare e non ci capita mai di sentire la forma futura: “amerai”.

Una parola che tutti conosciamo, ma che Gesù coniuga al futuro per dirci che l’amore non è quella realtà occasionale, come molte volte noi pensiamo, non è una parte della nostra vita privata come ce la presentano gli oroscopi, ma è la vita stessa; non è qualcosa di sentimentale che ci fa star bene, ma in quell’“amerai” c’è una fatica, uno sforzo, un impegno. Per di più l’amore di Gesù è un comando. Si può comandare l’amore? Gesù lo comanda perché prima di tutto è stato lui a darne l’esempio. Non ce lo comanda semplicemente, ma c’è l’ha narrato e fatto vedere: “amatevi come io vi ho amati”. Il termine di paragone è lui.

Ma, a ben vedere, cosa c’è di nuovo in questo comandamento? Nulla che non abbia già detto la Torah! Infatti amare Dio lo troviamo nel libro del Deuteronomio al capitolo 6 e l’amare il prossimo come se stessi lo ritroviamo già nel capitolo 19 del Levitico. I dottori della legge, al tempo di Gesù, sentivano già il bisogno di semplificare tutti i 613 precetti della legge ebraica che, invece di aiutare, complicavano la Torah scadendo molto spesso in una osservanza scrupolosa e legalistica. Gesù conferma questo sentore.

In che cosa consiste allora la novità di Gesù? Nell’uso dell’espressione “simile a” (homoia) ovvero che merita la stessa attenzione, la stessa osservanza. Si tratta cioè di dedicare la stessa attenzione, la stessa cura, lo stesso amore che si dà a Dio. In altre parole anche il prossimo va amato “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente”. La risposta di Gesù è chiara: bisogna amare l’altro con la totalità del proprio essere, quindi realmente, non con le sole parole, e umanamente: offrendo l’aiuto non con freddezza, ma con partecipazione e accoglienza.

Da questa considerazione mi è sorta un'altra domanda: noi siamo capaci di amare Dio? Eppure è possibile amare Dio. Perché se non troviamo risposta a questa domanda dovremmo mettere in dubbio anche la nostra capacità di sapere amare gli altri. Un conto è un amore puramente filantropico che è già molto, un conto è l’amore per Dio che ci permette di amare come lui ama ogni uomo. L’amore filantropico ama l’uomo in quanto uomo; l’amore cristiano ama l’uomo in quanto è immagine di Dio. L’amore filantropico ama l’uomo fino allo scadere della sua esistenza; l’amore cristiano ama l’uomo anche dopo la morte. Tutta la Legge e i Profeti, tutta la Torah si risolve in questo unico comma. Il Papa ha indetto per il prossimo 19 novembre una giornata mondiale per il povero dal titolo: “Non amiamo a parole ma con i fatti”.