Oggi, come anche domenica scorsa, ci viene mostrata l’immagine della vigna. La vigna è il simbolo privilegiato per descrivere il rapporto tra Dio e il suo Popolo. Nel salmo che abbiamo pregato Dio sradica addirittura la sua vigna dall’Egitto per trapiantarla in una terra dove possa fruttificare. Che cosa ci dice questa immagine, questa metafora della vigna? Ci dice un fare, un affaticarsi, un Dio che si prende cura del suo popolo. Dio è sempre all’opera: è un lavoratore che esprime il suo amore. L’amore è un lavoro, una fatica. Noi contemporanei purtroppo abbiamo ridotto l’amore semplicemente ad un “riposo”, ad un vago o “svago” sentimento che ci fa star bene con noi stessi e con gli altri, un amore che in realtà non costruisce nulla, che non forgia la nostra personalità, il nostro carattere.

Lungi dall’essere un’attività immediata e facile, l’amore è un lavoro che esige un’ascesi. Noi non conosciamo più il significato di questa parola perché l’associamo a delle pratiche esteriori che ci portano a fare delle rinunce. In realtà il Signore ci chiede di assumere degli atteggiamenti tra i quali la prima forma di ascesi è quella dell’ascolto-esecuzione della Parola di Dio; essere fruitori costanti e assidui di questa Parola: “Non chi dice «Signore, Signore» entrerà nel regno di Dio, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.

La seconda forma di ascesi non consiste nel seguire delle pratiche, ma nel praticare una persona: Gesù Cristo. Un praticare che è assumere una forma di esistenza, che è assimilare uno stile di vita. Se l’oggetto della pratica è Cristo stesso allora vuol dire che credere in Cristo significa frequentarlo, seguirlo, imitarlo, lasciandosi conformare a Lui fino a condividere la sua stessa sorte di morte e resurrezione.

Infine, la terza forma di ascesi non corrisponde al bisogno di rincorrere nuove performance religioso-morali, ricercare una perfezione autonoma, ma è la rinuncia totale di sé, la rinuncia all’autodeterminazione, perché solo Cristo disponga di noi: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Questo è il vero lavoro dell’amore per portare uva buona e non uva acerba.

Nonostante la sua Opera, Dio si stupisce e si amareggia di fronte al nostro continuare a produrre uva acerba, tanto che si domanda: “che cosa ancora dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?”. Non siamo capaci di produrre frutti di giustizia, di amore. L’uomo amareggia e delude anche il cuore di Cristo, come ci racconta la celebre parabola dei vignaioli omicidi. Stiamo attenti anche noi a non preparare la “morte” delle nostre chiese con la nostra indifferenza, con il nostro egoismo, con le nostre ingiustizie e con le continue delusioni che infliggiamo a Dio. La vigna di Dio non può rimanere senza frutti, ma deve fruttificare.

Se noi dell’Occidente non siamo più capaci di tenere alta la fiaccola della fede, altri popoli la porteranno, come già di fatto succede in India, in Asia, nelle zone di persecuzione in Oriente, nell’America latina e in Africa. La civiltà dell’Occidente, nel suo individualismo, ha scelto il suicidio abdicando alla verità, alla fede. Le nostre chiese rischiano di diventare dei musei! Noi vogliamo usurpare l’eredità a Dio quando non siamo capaci di restituire alla nostra comunità di appartenenza, quando non siamo disponibili alla reciprocità, quando vediamo la vita come competizione e non come comunione, quando non siamo più capaci di lodare Dio per i suoi benefici e i suoi doni. Pensiamo di rimanere nella vigna, battezzati, iscritti sul registro, ma senza la fatica necessaria per costruire insieme la civiltà dell’amore: partendo prima di tutto dall’educazione alla fede dei nostri figli, dei nostri nipoti. Abbiamo i Sacramenti, ma non abbiamo i cristiani.

Questa descrizione è un po’ cupa, come del resto è cupa la parabola che Gesù ci ha raccontato, ma Dio è talmente fiducioso, il suo amore è talmente folle che, nonostante gli omicidi, manda a noi il suo unico Figlio. Anche lui verrà ucciso e ogni giorno noi lo uccidiamo estromettendolo dalla nostra vita quotidiana, ma quella pietra scartata è divenuta testata d’angolo, cioè: non può più essere rimossa. È sempre dinanzi a noi questo amore folle crocifisso che continua a domandarsi: “che cosa devo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?”.