Il profeta Zaccaria ci presenta un re ideale che entra in Gerusalemme con un atteggiamento diverso dai re di tutta la terra. I re entravano trionfanti nelle città conquistate ostentando i bottini di guerra, gli schiavi, i tesori depredati mentre questo re entra in modo umile attraverso una cavalcatura umile di un’asina, porta la pace non con la forza, il sopruso e la paura ma con la mitezza e l’umiltà. Il profeta ci preannuncia il futuro re davidico che non sarà come gli altri. Questa profezia si è realizzata con la venuta di Gesù che ci rivela l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’umanità. Dio viene a noi nell’umiltà e porta la sua pace, la sua salvezza attraverso la non violenza. Gli uomini pretendono di portare la pace attraverso degli atti di forza e di prevaricazione. Viviamo nella logica mondana quando facciamo prevalere l’imposizione di questa pace che non potrà mai essere duratura, ma che si fonda sulla paura e sulla mancanza di dialogo. Oggi chi fa la voce grossa, chi urla, chi sfoga la sua ira anche se nella giustizia non potrà mai portare quella pace che Gesù ci propone. Potremmo vincere la battaglia ma aver perso la relazione con il fratello perché la vera pace non si basa su chi ha ragione ma sulla relazione stabile e duratura.

Gesù promette un “riposo” a chi assume il suo giogo che è quello dell’amore, della pazienza, della mitezza, dell’autocontrollo. Un’esistenza credente continuamente stressata, sotto tensione, piena d’impegni e di attività che non conosce riposo dimentica quell’affidamento a Cristo che è fonte di riposo nella fatica e consolazione nelle contraddizioni della vita. Gesù stesso ha incontrato queste contraddizioni nella sua vita. Qui Gesù si rivolge al Padre perché vede arrivare il momento della sua parabola discendente, Gesù integra nella preghiera l’inevitabile insuccesso e lo fa riconoscendo l’azione del Padre che rivela ai piccoli e agli umili l’Opera del suo Figlio Gesù. Egli stesso si propone come nostro modello per non perdere la pace interiore anche se il suo giogo comporta una fatica, perché amare è comunque fatica, lotta e resistenza, ma non è come quelle situazioni che ci mettono in competizione continua, che ci logorano interiormente, che ci esasperano. La prima parola che ci dice Gesù è quella della sequela: “venite a me…”: non possiamo essere autodidatti. La mitezza e l’umiltà non possiamo darcela da soli ma va continuamente invocata in una relazione stabile duratura con Gesù nella preghiera. Poi Gesù ci chiede la rinuncia: rinunciare alla propria volontà per obbedire alla volontà del Signore. Quella volontà autoreferenziale, egocentrica, “carnale” di cui ci parla anche san Paolo nella sua lettera: “noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete”. Quindi l’attitudine del cristiano a rimanere sempre discepolo, ad essere fruitore della sua Parola in un costante dialogo d’amore: “imparate da me…”; infine la pienezza di vita raggiunta con la pace interiore: “troverete riposo per le vostre vite”.