Il mistero dell’incarnazione del Dio-con-noi, dell’Emmanuele, si realizza ora pienamente con la sua ascensione: “Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”. Matteo realizza questa grande inclusione del suo Vangelo. L’ascensione indica il passaggio definitivo alla gloria, il passaggio all’eternità. Ma che cosa rappresenta l’ascensione? Si tratta di un abbandono? Si tratta di una partenza? In effetti Matteo non ci lascia mancare un breve annotazione che ci fa pensare proprio a questa eventualità: “Essi però dubitarono”. Qual è il dubbio che si cela nel cuore dei discepoli? Proprio la paura che si tratti di un abbandono, di una partenza; o peggio che le apparizioni siano state una bella svista collettiva, che in fin dei conti Gesù non sia mai risorto. È il dubbio atroce che Dio non sia capace a rimanere con l’uomo per sempre. Non è anche il nostro dubbio? La nostra incertezza? Quando un figlio raggiunge la piena maturità umana? Quando un padre di famiglia raggiunge la sua piena paternità? Quando il figlio diventa autonomo, è capace a risolvere i problemi da solo, a trovare delle soluzioni, quando è capace a camminare con le su gambe; quando il Padre è capace a lasciare che il figlio sbagli e trovi forza e sostegno dai suoi insegnamenti, quando non sta più dietro a guardarlo costantemente, ma gli dona fiducia e coraggio. Se questo Padre fosse sempre con il fiato sul collo nei confronti del figlio rappresenterebbe non il compimento, ma il fallimento come padre. Così anche Gesù nei nostri confronti. Non ci tratta in modo paternalistico, ma ci dona fiducia perché possiamo andare a compiere la sua missione. È sempre con noi tutti i giorni, ma ci lascia quello spazio di libertà per poter agire responsabilmente come cristiani. “A me è stato dato ogni potere in Cielo e sulla terra”. Di quale potere parla Gesù? Sicuramente non è un potere sovversivo, un potere che s’impone con la logica della forza, il potere di schiacciare la libertà e la dignità altrui. Il potere di Gesù è quello di aver congiunto la terra al Cielo. Aver portato il Cielo sulla terra con la sua incarnazione; e aver portato la terra al Cielo con la sua ascensione, risurrezione. Non c’è più una differenza sostanziale tra terra e Cielo. L’eterno è già presente nel frammento, in ciò che passa, in ciò che facciamo. Nulla è estraneo a Dio e al suo amore. Tutto ciò che noi compiamo rimane per l’eternità. L’eternità non significa assenza di tempo, ma che il tempo ha raggiunto il suo fine: appartiene a Dio e noi apparteniamo a lui. Non esistono più tempi morti o tempi inutili. Anche il tempo dell’inattività, il tempo della malattia, della fatica, della sofferenza diventano luoghi di salvezza nei quali Dio si rivela come il Dio vicino. È il potere di rendere le realtà nascoste, invisibili agli occhi degli uomini realtà visibili, comprensibili, accettabili anche se avvolte nel mistero. Se sappiamo che Dio ci è vicino e quindi lo spazio e il tempo gli appartengono non dobbiamo temere nulla da lui perché egli ci conduce infallibilmente al destino ultimo delle nostre vite. Se Cristo è risorto anche noi risorgeremo, se Cristo è asceso, cioè è entrato nella gloria anche l’uomo entrerà nella gloria del Padre. Non è forse quello che compiamo in ogni liturgia domenicale con l’eucarestia? Noi portiamo la nostra vita nella messa, cioè nell’eternità e la messa nella nostra vita, cioè nel tempo che scorre? Viviamo già, anticipiamo già questa realtà ma in attesa che Dio raggiunga il compimento quando egli sarà tutto in tutti e sarà manifestato a tutta la creazione.