Il Vangelo ci narra dell’esperienza pasquale di due discepoli che passano dalla lentezza del passo al partire senza indugio, dall’incomprensione all’intelligenza delle Scritture, dall’incapacità di vedere al riconoscerlo, dalla lentezza di cuore ad un cuore ardente. Luca ci sta dicendo che il tempo pasquale è un tempo di trasformazione, di metamorfosi, di cambiamento. La resurrezione di Cristo comporta un movimento che non ci fa rimanere quelli di prima, ma coinvolge la nostra intelligenza, il nostro cuore che è la sede non tanto dei nostri sentimenti, ma il luogo della nostra decisione, i nostri stessi sensi. Questi due discepoli, ci dice Luca, stavano argomentando sui fatti accaduti a Gerusalemme, un’argomentazione che risulta non confusa ma ordinata: ciò che mancava a questa loro argomentazione era la sintesi di questi avvenimenti, erano le conclusioni. Questa sintesi era possibile solo partendo dalle Scritture che vengono spiegate da Gesù in persona e gettano luce sul mistero della sua passione, morte e resurrezione. Secondo il rimprovero di Gesù sarebbero potuti arrivarci ma così non è stato a causa della stoltezza e della “brachicardia spirituale”. Non bastano i dati esistenziali per saper interpretare la nostra vita, per poter arrivare a credere. Non fanno che rallentare il nostro passo; ci rendono stolti agli occhi di Dio. Quando non siamo capaci a vedere oltre i dati sensibili la nostra vita, il nostro passo rallenta, il nostro cuore rallenta. La Pasqua ci fa abbandonare quei schemi che noi siamo soliti usare, per aprirci ad un’altra sapienza, ad un'altra intelligenza. C’è qualcosa che non sappiamo ma che sa il Signore e che ce lo può dire solo lui. La nostra vita noi la vorremo intendere dal nostro punto di vista, ma la realtà della nostra vita è ben di più di quella che noi possiamo percepire con i nostri sensi. Essa deve essere spiegata attraverso le Scritture che ci aiutano a ricevere un’altra intelligenza. Questa parola deriva dal latino: “intus legere” cioè “leggere dentro”. Il problema non è fuori di noi ma dentro di noi. Noi vorremmo comprenderci pensando a che cosa possiamo ricevere dalla vita, non tanto a cosa potremmo essere per gli altri, per Dio. I due discepoli da due egoisti, delusi della vita, rinchiusi nei loro schemi, nei loro ragionamenti diventano annunciatori e portatori di Gesù agli altri. La Pasqua ci restituisce la velocità nell’amare, nel credere, nell’affidarci; nel non indugiare di fronte a noi stessi, di fronte alle nostre sensazioni, ma ci da nuovo slancio, energia; ci fa convertire e ritornare sui nostri passi. Da bradipi diventiamo gazzelle. Da tristi a persone gioiose.

“Egli fece come se dovesse andare più lontano”: il Signore è sempre più lontano di noi, è sempre più avanti. La nostra invocazione, l’invocazione della Chiesa sarà sempre questa: “resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Il Signore in ogni eucarestia domenicale è disposto a rallentare il passo fino a fermarsi e sedere alla mensa con noi perché noi possiamo uscire sapendo che Lui non è più da ricercare fuori di noi, ma dentro di noi. “Gesù sparì dalla loro vista”: quando diventiamo consapevoli che Gesù ci è sempre accanto, quando la nostra intelligenza si apre alle Scritture, quando il nostro cuore diventa incandescente non servono più i sensi, non serve più andare a cercarlo chissà dove perché la sua abitazione diventiamo noi, perché lo possiamo incontrare nel volto dei fratelli e delle sorelle.