La solennità che celebriamo in questa penultima domenica del tempo ordinario ci fa vivere il mistero della nostra appartenenza alla Chiesa, di quel legame invisibile ma forte che esiste tra noi e con il Signore Gesù. Oggi viviamo nell’epoca della crisi di appartenenza, della fragilità dei legami umani. Impoverendo l’immagine che noi ci siamo fatti di Dio, inevitabilmente abbiamo impoverito anche l’immagine dell’uomo e della donna. La Parola di Dio ci dice che è possibile rimanere uniti tra di noi se c’è all’origine della nostra esistenza un principio unificatore che garantisca il nostro essere Chiesa, la formazione della nostra comunità cristiana: questa realtà è espressa con l’immagine della vite e dei tralci che spiega, attraverso questo simbolismo agricolo, che cosa avviene in noi. Per capire il nostro legame con Gesù dobbiamo partire dal nostro modo di concepire il legame che abbiamo con la Chiesa. Noi non incontriamo prima Gesù Cristo e poi la comunità, ma incontriamo prima di tutto dei cristiani, un gruppo di cristiani che vive in un territorio. Sentirsi Chiesa non è una grande idea, ma diventa un grande impegno, un grande compito. Gesù vuole che noi lo conosciamo e lo accogliamo partendo dalla Chiesa perché è il sacramento di unità per entrare in relazione stabile e duratura. Non posso incontrare Cristo senza il fratello o la sorella che condivide con me la stessa fede. “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie; e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. C’è una doppia potatura che l’agricoltore compie: quella del taglio di rami che non hanno fatto grappoli d’uva, e quella di togliere i germogli inutili che potrebbero impedire la formazione di altri grappoli. Il Padre toglie chi non è unito vitalmente a Gesù e purifica dal peccato, chi accoglie la sua Parola. Per Giovanni non c’è una via di mezzo: cioè un tralcio sterile che rimanga comunque attaccato alla vite. O s’intraprende un percorso di ascolto della Parola di Dio, di purificazione che porta la nostra vita ad essere sempre più intimamente unita a Lui e ai fratelli oppure non è possibile rimanere ancorati alla vera vite: diventare suoi discepoli non è la condizione di partenza ma diventa impegno, compito, percorso di crescita. Prima bisogna portare frutto per essere suoi discepoli; non basta l’innesto del battesimo perché questo non garantisce il nostro attaccamento a lui. L’eucarestia diventa allora il luogo privilegiato dove io mi purifico ascoltando la Parola di Dio, dove io incontro davvero Cristo in mezzo ad una comunità di fratelli e di sorelle, dove io confermo il dono del battesimo ricevuto perché questo innesto non diventi arido. I discepoli non subiscono la potatura radicale del Padre perché sono stati purificati dal peccato d’incredulità.

“Per questo è importante che i fedeli siano educati a riconoscere la radice del peccato nel non ascolto della Parola del Signore e ad accogliere in Gesù, Verbo di Dio, il perdono che ci apre alla salvezza”

Papa Benedetto XVI, Esortazione apostolica Verbum Domini, 30 settembre 2010