Ancora una volta la liturgia della Parola ci fa ritornare sul tema della preghiera. Mentre domenica scorsa il Vangelo si è soffermato sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai, oggi il Vangelo ci dice come pregare, come metterci in relazione con il Padre. Il Siracide ci dice che Dio non fa preferenze di persone; ma è vero anche il contrario che Dio ascolta la preghiera degli umili, dei poveri, degli oppressi. C’è una preghiera che Dio ascolta, che arriva a destinazione, che buca le nubi, che arriva direttamente a Dio. Nel Vangelo troviamo due figure: il pubblicano e il fariseo. La preghiera del pubblicano viene accolta e giustifica; quella del fariseo non trova esito positivo, non viene accolta da Dio. Eppure uno è davvero un peccatore e l’altro, il fariseo è davvero un uomo giusto: anzi faceva più del dovuto! Il peccato del fariseo non è quello di presunzione. La traduzione ci può portare a pensare a questo ma in realtà dovrebbe essere: “Disse poi questa parabola ad alcuni che confidavano in se stessi perché erano giusti”. L’errore del fariseo è quello di confidare in se stesso e non in Dio ed ha come conseguenza quello del disprezzo degli altri: “io non sono come gli altri uomini”. Il fariseo non fa altro che celebrare la propria immagine; strumentalizza Dio, anzi in realtà Dio non gli serve, perché il suo non è nient’altro che un monologo interiore. Il fariseo ringrazia Dio, in realtà è Dio che dovrebbe ringraziare il fariseo per quello che fa per lui. Nella mia piccola esperienza di sacerdote mi è capitato d’incontrare persone che perentoriamente hanno affermato di essere senza peccati. Lo dicono perché ci credono: “Padre, che peccati posso aver commesso?” e poi ti fanno la lista delle cose che loro fanno per gli altri. Lo dicono non perché sono arroganti, ma lo dicono perché sono convinti. Dicendo questo implicitamente vogliono giustificarsi dicendo: in fondo non ho bisogno di chiedere perdono, non ho bisogno di venire in chiesa, non ho bisogno del sacerdote, non ho bisogno di Dio. Come direbbe Gesù queste persone hanno “già ricevuto la loro ricompensa”. Si pensa di essere graditi a Dio perché si crede di fare delle cose per gli altri. In realtà ciò che ci mette in reale comunione con Dio non è il fare, ma l’essere. Il fariseo non ha riconosciuto quei suoi doni come provenienti dalla bontà di Dio, ma dai suoi sforzi, dai suoi sacrifici quindi Dio mi deve benedire, mi deve ascoltare, mi deve esaudire. Sapete qual è il vero peccato dell’uomo? di essere senza peccato. Quando diciamo questo ci mettiamo fuori dalla realtà, ci mettiamo noi al posto di Dio, ci canonizziamo già sulla faccia della Terra.

Il pubblicano non si mette alcuna maschera sapendo che egli è nella colpa e aspetta il dono della salvezza da Dio. Sa di essere peccatore e quindi di non pretendere nulla da Dio. A differenza del fariseo conta solo su Dio e non su se stesso. È il nostro essere nulla il luogo, lo spazio dell’incontro in cui Dio può operare, è il vuoto aperto alla sua azione

“Colui che ha raggiunto la coscienza dei propri peccati è più grande di colui che risuscita i morti con la sua preghiera. Colui che piange un’ora sola sulla propria anima è più grande di colui che soccorre il mondo intero con la sua contemplazione”

Isacco il Siro