Oggi nella cultura dei desideri dove il bisogno deve essere sempre soddisfatto per crearne altri il tema della preghiera risulta fuori luogo e lasciata all’iniziativa di coloro che hanno “tempo da perdere”. Per molti la preghiera risulta non necessaria e fondante la vita di tutti i giorni. Mentre siamo abituati a possedere le cose in modo più o meno istantaneo in base ai nostri desideri, la preghiera ci mette in quella situazione di attesa, di pazienza di perseveranza dove il nostro interlocutore non lo possiamo vedere e dove egli non ci risponde alla maniera umana; ci da fastidio metterci in quell’atteggiamento della vedova che va a mendicare giustizia dal quel giudice iniquo della parabola. In fondo pregare significa mendicare in modo permanente davanti al Signore. La preghiera è comunque una lotta per se stessi e per gli altri come scopriamo dalla prima lettura. È facile stancarsi come Mosè, abbassare la guardia; è più facile pregare insieme agli altri quando la fatica si fa sentire e dove finisce la mia preghiera continua quella dell’altro rappresentata da Aronne e Cur. A volte da soli ci perdiamo ma insieme ci sosteniamo a vicenda perché impariamo a perseverare nella preghiera grazie anche ad altri che ce lo fanno vedere. Ecco perché impariamo qui a pregare insieme nell’eucarestia per non stancarci e sostenerci! Ma la nostra preghiera sostiene anche la lotta degli altri.

Che ne sarebbe della nostra vita se nessuno avesse mai pregato per noi? Quante volte chiediamo l’aiuto dei fratelli e delle sorelle nella preghiera? Quante persone dovremo ringraziare in Cielo che attraverso la loro preghiera ci hanno salvati?

A volte rimaniamo perplessi di fronte a questa giustizia di Dio che ritarda e che Gesù dice di essere pronta, immediata perché la nostra esperienza ci dice il contrario. Dobbiamo intendere bene che cosa significa la giustizia di Dio. La giustizia di Dio è la sua misericordia. Il verbo che Luca utilizza per ritrarre l’atteggiamento di Dio è makrothimeo che significa dilazionare, attendere pazientemente. L’atteggiamento di Dio nei nostri confronti è quello della tolleranza, della pazienza, della sopportazione. Dio è capace a sopportare il male con tale sicurezza e fiducia perché sa che il bene alla fine trionferà. Alla fine la perseveranza nel bene ci ricompensa sempre. Alla fine il bene ripaga sempre la persona che lo compie. La preghiera diventa allora la manifestazione dell’amore di Dio nella nostra vita e il suo tipo di amore diventa anche il nostro. È sicuro che ci sarà un riequilibrio della giustizia tra il bene compiuto e il male subìto ma non spetta a noi anticipare i tempi e i modi. Dio Padre non ha liberato miracolosamente suo figlio dalla croce, così non libera miracolosamente noi cristiani dalle avversità, dalle difficoltà e dalle possibili ingiustizie. Perché dobbiamo pregare sempre senza stancarci mai? Perché ne va della nostra fede, perché senza di essere il nostro amore per Dio e per i fratelli diventa tiepido fino a raffreddarsi totalmente. Per non darla vinta al male che troviamo in noi e negli altri. La preghiera serve per tener viva la fiamma dello Spirito e ravvivare l’amore di Dio riversato nei nostri cuori. Credere significa aver fede più in Dio che in se stesso e negli altri. La domanda ultima di Gesù rimarrà per sempre inquietante. Possibile che un giorno si arriverà al totale sradicamento della fede nel cuore delle persone? Non penso che spetti a me dare una risposta profetica a questa domanda perché Gesù non l’ha data. Non penso che sia stata tramandata per un senso di sfiducia, di scoraggiamento o di pessimismo. È una risposta che ognuno di noi deve dare prima a se stesso, che richiama prima di tutto la propria fedeltà a Gesù e non quella esclusivamente degli altri.