Il Vangelo di oggi è sicuramente quello più radicale, anche duro da ascoltare e farlo diventare parte integrante della nostra vita. Ma ormai sappiamo molto bene - è per quello che non ci abituiamo mai ad ascoltare il vangelo – che Gesù procede per paradossi con immagini forti che ci spingono a pensare che questo è possibile forse per alcuni, ma non per me. Eppure questo è Vangelo, è buona notizia anche per me. Se dovessi scegliere le pagine di Vangelo che più mi piacciono e dovessi tralasciarne altre è meglio non aprire il Vangelo. Non possiamo pensare che questo Vangelo sia qualche cosa di arcaico che non corrisponde più alla mentalità di oggi. Come lo fu allora anche oggi queste parole risultano “scandalose”, provocanti. Seguire Gesù non significa mantenere le proprie convinzioni, le proprie idee, mantenere la vita ordinaria. Se il cristianesimo non mi cambia, ma mi lascia semplicemente per quello che sono, una vita costruita su mia misura, semplicemente questo non è cristianesimo. Gesù non è per una vita ordinaria, ma straordinaria, non è per una vita semplicemente terrena, ma celeste. La nostra vita non è forse pensata per fare cose straordinarie? Se ci accontentassimo tutti di fare le stesse identiche cose saremmo noi soddisfatti? Il libro della Sapienza afferma che le “cose corruttibili appesantiscono l’anima” e i “ragionamenti dei mortali sono timidi e incerti”. Se fosse per noi ci accontenteremmo di poco. C’è una sapienza che viene dall’alto che per noi si è manifestato nella “carne” di Gesù perché noi siamo fatti per il regno non della terra, ma per quello dei Cieli. “Il cristiano non va a cambiare il mondo ma a cambiare se stesso” così affermava don Primo Mazzolari. E ancora: “si cambia volentieri il bene della Chiesa con il proprio benessere”. È possibile amare qualcuno, che non abbiamo fatto esperienza diretta su questa terra, più di coloro che ci hanno generato, amato, curato, accudito, nutrito? Per il Vangelo la risposta è sì. È possibile perché è Lui che ha dato tutto per noi. Amare di più non significa un rapporto esclusivo, ma inclusivo, cioè vedere i nostri affetti, i nostri rapporti famigliari, amicali tutto a partire da quell’Unico rapporto che da senso a tutti le altre relazioni umane. La relazione con il Signore vale più della nostra stessa vita: è la grande scommessa! Noi possiamo ritrovare noi stessi, la nostra vera identità solo nel momento in cui rinunciamo a fabbricarci una nostra personale identità. Nella nostra società dove si esalta l’individuo e non la persona questo è un’assurdità. Oggi si tende ad eliminare nel nostro vocabolario la parola “persona” perché indica una relazionalità che la parola “individuo” non può avere perché è l’uomo che si costruisce da solo. “Portare la propria croce” significa andare in un’unica direzione obbligata che consiste nel rinunciare alla propria volontà per mettersi in quell’atteggiamento di sequela e di affidamento incondizionato. Portare la croce aveva un unico significato, inaudito, dissacrante per le orecchie di un ebreo. Voleva dire essere oggetto di derisione e alla mercé di ognuno. Il condannato al patibolo della croce era oggetto di scherno. In altre parole significava accettare anche le umiliazioni della vita per portare il Vangelo al mondo. Oggi si tratta di non aver paura di mostrarci cristiani e credenti. Il papa nella sua esortazione apostolica parla della dolce e confortante gioia di evangelizzare e riprendendo un’espressione dell’episcopato latino-americano dice: “la vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri”. Lasciamoci interrogare dal realismo evangelico anche se questo ci mette in una situazione di disagio nei confronti della Parola. Una Parola che sicuramente non ci lascia indifferenti e ci permette di avanzare anche solo di un passo per non assuefarci nell’ascolto.