La prima lettura ci dà sempre la chiave di lettura per leggere il Vangelo. Il Vangelo è questo scrigno segreto con un tesoro immenso da scoprire e l’Antico Testamento ne è la chiave per aprire i tesori della sapienza evangelica. La seconda lettura rappresenta invece la conferma che quello che dice la Scrittura è vero e degno di essere accolto: una sorta di epilogo conclusivo; insieme alle molteplici ricchezze che troviamo nello scrigno prendiamo solo la perla preziosa.

Proviamo prima di tutto ad inserire la chiave in questo scrigno cercando di capire che cosa abbiamo ascoltato con il racconto del peccato del re Davide. Il profeta Natan enumera tutti i benefici che il re aveva ricevuto da parte di Dio; non solo: Dio era disposto a donare altre grazie oltre le sue aspettative. Di fronte all’accusa del profeta che cosa fa il re Davide? Che cosa avremmo fatto noi? La prima nostra reazione probabilmente sarebbe stata quella di autogiustificarci, di edulcorare il nostro peccato, di trovare delle attenuanti, di prendere tempo per trovare un escamotage. Nulla di tutto questo fa Davide. Dice lapidariamente: “ho peccato contro il Signore!”. Il re Davide non è stato considerato giusto perché era immune dal peccato, perché fosse perfetto e integro, ma perché era un peccatore. Questa esperienza di Davide ci dice l’unico modo per stare alla presenza di Dio, per metterci in relazione con lui, se vogliamo lasciarci raggiungere dal suo amore e sperimentarlo concretamente nella nostra vita.

Ecco finalmente la chiave che apre lo scrigno dei Vangeli; il peccato di Simone il fariseo è stato quello di mettersi allo stesso livello di Gesù, di mettersi con lui in un atteggiamento di competizione per giudicarlo: “se costui fosse un profeta…”. La donna, cosciente del suo grande peccato, compie gesti considerati esagerati e inopportuni da Simone perché manca in lui questa coscienza di aver bisogno anche lui del perdono di Dio. Noi facciamo fatica ad incontrare l’amore di Gesù, a sentirlo sulla nostra pelle: vorremmo metterci di fronte a Lui con i nostri meriti, essere alla pari per poter dire a noi stessi di amarlo. E dal momento che l’esperienza della vita smentisce continuamente questo ideale ci accontentiamo di vivere un cristianesimo mediocre oppure convinciamo noi stessi che l’essere cristiani non fa per noi.

Il cristiano è colui che dice sempre a Dio: “ho peccato” e non si stancherà mai di ripeterlo e di riconoscerlo fino alla morte. Non è forse l’esperienza di tutti i santi? San Leonardo Murialdo non ha forse amato molto perché gli è stato perdonato molto? Ma perché gli è stato perdonato molto? Non perché fosse più peccatore di altri ma perché ogni piccola offesa a Dio e ai fratelli per lui diventava un grande debito: “sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato”. Non si tratta di riconoscere semplicemente la quantità dei nostri peccati, ma direi la “qualità”: io posso attraversare un fiume sia che l’acqua mi arrivi fino alle caviglie sia che mi arrivi fino alla gola, ma la decisone di passare all’altra sponda del peccato rimane invariata.

La crisi di fede che oggi viviamo deriva proprio da questa fatica di chiedere perdono; dal non sentire la necessità di chiedere perdono a nessuno né tanto meno a Dio, dal giustificare ogni cosa, dal non chiamare i peccati con il proprio nome; dal ridurre tutto a psicologismi.

Ecco ora la perla: siamo salvati per la comunione col Signore crocifisso. Se trascuriamo e deprezziamo la morte di Gesù, se riteniamo che il mondo è capace di redimersi da solo, noi annulliamo il valore del sacrificio di Gesù e, allora, “Cristo è morto invano”.

Non lo avete udito dire mille volte che il Signore è tutto buono e pietoso? Ora voi che avete peccato, voi lo avete sperimentato… veramente Dio ha più amore per te, che tu non abbia disprezzo per lui. La misericordia di Dio è maggiore dei pensieri degli uomini. Misericordia di Dio tu sei la più amabile delle perfezioni di Dio.

San Leonardo Murialdo