La prima lettura e il Vangelo ci presentano due figure: Eli e Giovanni Battista. Essi diventano gli uomini intermediari tra Dio e la storia di Samuele e dei due discepoli. Penso che il tema che leghi queste due letture sia da ricercare nella paternità spirituale, nell’accompagnamento spirituale. L’anziano sacerdote Eli guida il giovane Samuele a discernere la voce di Dio, mentre Giovanni indica Gesù come l’agnello di Dio. Per comprendere la volontà di Dio, se davvero vogliamo fare un cammino di discepolato, abbiamo bisogno di mediatori umani, di maestri, di testimoni; in una parola: di padri e madri che ci generano alla vita di Dio. La fede non si trasmette per via intellettuale come una forma di sapere, ma si trasmette attraverso un’esperienza, una condivisione di vita, una comunione di cuori. Lo scenario del tempo di oggi sicuramente non ci aiuta in questa ricerca. Noi siamo reduci dal sogno degli illuministi che pensavano che per comprendere razionalmente il mondo bisognava rendere l’uomo finalmente libero, padrone e protagonista del suo domani, emancipandolo da ogni “dipendenza”. La prima idea da cui bisognava liberarsi era quella di un Dio Padre. L’assassinio collettivo del Padre doveva concretizzarsi nella convinzione che l’uomo dovrà gestirsi da solo la vita. Noi siamo già arrivati a questo punto: la nostra umanità è malata di questa assenza. Negando il Padre che è nei cieli non sentiamo neanche più il bisogno di avere dei “padri” o delle “madri” su questa terra. La moderna società “senza padri” non genera più figli liberi e uguali, ma produce solo dipendenze drammatiche, dei surrogati di “padri”. In questo tempo ciò che trionfa sembra l’indifferenza e la perdita di gusto nel cercare le ragioni del vivere e del morire.

Il vecchio Eli non brilla per la sua scaltrezza e la sua lungimiranza. A volte noi cerchiamo aiuto in persone che ci facciano stupire; cerchiamo appunto dei falsi maestri che ci rassicurino nella nostra vita. In realtà nella paternità spirituale non è essenziale ricercare una persona “straordinaria”, ma rimanere fedeli a colui che si è scelto. Il “padre” è persona umile che non se-duce, non porta a sé, ma e-duca, cioè porta fuori da sé. È proprio come il Battista che indica non se stesso, ma un Altro. Diceva Sant’Antonio Abate: “Le Scritture sono sufficienti all’insegnamento; ma è bene che noi a vicenda ci esortiamo nella fede e ci incitiamo con i discorsi. Voi, come figli, riferite a me, come a un padre, le cose che sapete. E io, essendo più anziano di voi, vi riferirò quello che so e che ho sperimentato”. Ciò di cui oggi abbiamo particolarmente bisogno, davanti all’indifferenza e alla mancanza di passione per la verità, è il volto di un padre e di una madre nell’amore. Alla fine si tratta di recuperare la nostalgia del Totalmente Altro: Dio stesso.

“Chi cercate?”: questa è la domanda fondamentale per recuperare la nostalgia del Totalmente Altro. Una delle qualità essenziali per essere cristiani è “cercare Dio”. Non è un militante iperattivo, ma un cercatore di Dio. La domanda che Gesù oggi ci pone ci vuole portare a fondo del nostro desiderio, della propria ricerca, avendo ben chiaro che Gesù è l’Agnello, il Crocifisso, il Servo.

Noi siamo come i discepoli che non hanno delle risposte. Noi non sappiamo che cosa cercare nella nostra vita: è la confusione del mondo in cui oggi ci troviamo. Diciamocelo francamente: nessuno conosce la risposta se non dando delle risposte parziali. Quello che possiamo fare è porre un'altra domanda: “Dove abiti?”, o meglio “dove rimani?”. Non è forse vero che il senso e il significato nella nostra vita li possiamo trovare nella “stabilità”, nello “stare” con Lui, nel percorrere uno stesso cammino senza porci altre domande? “Venite e vedete” dice Gesù, non dice: “state a vedere”. Il segreto della vita di Gesù non è stato forse nello “stare con il Padre”, nell’accogliere questa paternità sentendosi profondamente Figlio?