Il libro dei proverbi fa un elogio della “donna perfetta” nell’ambiente familiare, ma si può dire di qualsiasi persona che ha scoperto la sapienza della vita. Al cuore di questo ritratto della donna forte c’è la responsabilità che si traduce in affidabilità, laboriosità, vigilanza e generosità. La responsabilità cristiana significa essere coscienti del dono ricevuto della vita e saper essere fedeli.

Anche il Vangelo ci parla di una responsabilità. Il dono dei talenti non è altro che il dono della vita accordatoci dal Padre. Un dono che diventa anche un compito preciso: quello di far fruttificare e di accrescere nella libertà la nostra umanità. Noi tutti abbiamo un’umanità potenzialmente aperta per essere accresciuta e dilatata. Penso che sia questa la grandezza del nostro Dio: non ci ha dato tutta l’eredità della vita, ma ci ha lasciato lo spazio perché questa eredità possa accrescersi di giorno in giorno. Il Signore ci mette in guardia dal rischio di una vita sprecata, di una vita insignificante o di una vita non vissuta. L’episodio dei tre servi che ricevono chi cinque, chi due e chi un solo talento ci racconta un Dio che elargisce liberamente i suoi doni e i suoi doni sono diversificati, sono personalizzati! Ognuno di noi ha un carisma che deve scoprire e deve farlo fruttificare secondo le proprie capacità. Il pericolo è quello di entrare in una logica di paragone che sfocia nell’invidia e nel risentimento: perché a lui di più e a me di meno? Diventa un dispendio di energie che non porta all’essenziale. Questo tipo di stile di vita ci porta lontani da noi stessi e lontani da quella intimità che ci farebbe scoprire noi stessi e chi è Dio per noi. Mentre noi facciamo queste distinzioni tra chi ha di più o di meno agli occhi di Dio noi siamo uguali: per quanto ci sforziamo di “raddoppiare” in umanità nella nostra vita, agli occhi di Dio il risultato è sempre “poco”: infatti sia a chi ne ha guadagnati cinque, sia a chi ne ha guadagnati solo due il Signore ci dice: “Bene servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto”. Tutti riceveremo la stessa ricompensa. Madre Teresa diceva: Non so come sarà il cielo, ma so che quando si muore e arriva il momento in cui Dio ci giudicherà, lui non chiederà, “Quante cose buone hai fatto nella tua vita?”, e piuttosto chiederà, “Quanto amore hai messo in quello che hai fatto?”.

Chi è esposto a questo vizio non sono coloro che hanno ricevuto di più, ma coloro che hanno ricevuto di meno. Infatti chi ha ricevuto un solo talento lo va a nascondere, mentre gli altri restituiscono al padrone almeno il doppio ricevuto. Investire il “proprio denaro” significa esporsi al pericolo, ad un rischio, ad una paralisi. La vita è rischio. Chi concepisce la vita come ordinata, perfetta, calcolata e priva di imprevisti, alla fine perderà anche quello in cui confidava ed era la propria forza. Questa paura del rischio nasce anche da un’immagine distorta di Dio: il desiderio di sicurezza, la paura dei pregiudizi, la paura di spendersi neutralizzano la volontà di Dio che ci chiede di cercare un guadagno mettendo a disposizione i nostri talenti. L’immagine è quella di un Dio esigente e duro che ci chiederà conto della nostra vita. Ma siamo sicuri che Dio sia questo o non piuttosto la nostra proiezione di un Dio che ci chiede di raccogliere anche dove non ha seminato o di raccogliere dove non ha sparso? Infatti Dio non ci chiede di raddoppiare, ci chiede solo piccoli interessi; Dio non è uno “strozzino”, ma è il direttore di una banca etica che fornisce ai suoi clienti piccoli finanziamenti con interessi relativamente bassi: “Non è tanto quello che facciamo, ma quanto amore mettiamo nel farlo. Non è tanto quello che diamo, ma quando amore mettiamo nel dare” dice Santa madre Teresa.