Probabilmente questa è l’unica omelia che noi sacerdoti non dovremmo fare, ma che dovreste fare voi laici nei nostri confronti per il fatto che si parla dei sacerdoti. È il dilemma del fare che Gesù ci presenta: “dicono, ma non fanno”. Gesù dice che l’insegnamento è degno di essere ascoltato sempre, ma questo insegnamento se non coincide con un fare a lungo andare giudica e condanna la persona che lo insegna. Il mio padre spirituale mi disse una volta che un buon parroco dovrebbe essere in grado di: fare, dar da fare, saper fare, lasciar fare; ma ad una condizione: che questo fare corrisponda ad un essere.

Ai tempi di Malachìa, come ai tempi di Gesù, come anche ai nostri tempi, sussiste sempre un pericolo: quello dell’ipocrisia e dell’apparenza che è la discrepanza che c’è tra il fare e l’essere. Chi ha desiderio di potere non fa altro che cercare apparenza, l’essere ben visibili di fronte agli altri, distinguersi, farsi riconoscere; chi desidera invece mettersi al servizio non desidera altro che il nascondimento, il confondersi con gli altri, il desiderio di bene senza farlo sapere.

Infatti, Matteo ci presenta due chiese: la prima è una chiesa pomposa, tradizionalista, che sa fare subito distinzione, che ha idee chiare e ben distinte; che sa preoccuparsi dell’immagine che essa offre all’opinione pubblica e al mondo. “Si allargano i filatteri…”, cioè le strisce di cuoio che si attorcigliavano all’avambraccio e sulla fronte e alle cui estremità si legavano delle piccole teche contenenti lo Shemà Israel: «Ascolta Israele il Signore è nostro Dio. Il Signore è uno. Benedetto il Suo nome glorioso per sempre. E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. E metterai queste parole che Io (cioè Dio) ti comando oggi, nel tuo cuore, e le insegnerai ai tuoi figli, pronunciandole quando riposi in casa, quando cammini per la strada, quando ti addormenti e quando ti alzi. E le legherai al tuo braccio, e le userai come separatore tra i tuoi occhi, e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte (delle città)». Le frange del mantello dovevano ricordare i comandamenti di Dio, ma tutto si fermava ad un puro ritualismo esteriore, mentre invece quelle piccole pergamene e quelle frange dovevano stare non fuori ben visibili, ma nascoste nella propria interiorità.

C’è anche una seconda chiesa: quella che si riconosce peccatrice, quella formata da coloro che colgono la propria vita come relazione con Dio e con tutti i fratelli, che non hanno paura di andare incontro alle sfide del mondo guardando ciò che c’è di buono anche in coloro che sembrano non avere nulla di buono. Sono coloro che non si preoccupano tanto dei loro meriti o della ricompensa che viene da Dio, ma si abbandonano ad una donazione limpida e totale, senza presumere di sé.

Karl Barth uno dei più famosi teologi del ‘900 amava pregare quotidianamente: “Signore, liberami dalla religione e dammi la fede!”. La religione molte volte è eredità della famiglia, si può esprimere in gesti convenzionali, la fede invece si radica nel cuore, cresce nell’esistenza, si ramifica in ogni ora della vita e sboccia nell’amore.