“Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano ad osservarlo”. Gesù viene tenuto sott’occhio per vedere che cosa avrebbe compiuto. Questo versetto si riferisce in modo diretto alla guarigione dell’idropico. Era consuetudine dopo la liturgia sinagogale invitare amici, parenti e si aiutavano anche poveri per ringraziare il Signore nel giorno festivo. Non era inusuale l’intrusione di poveri alla mensa di un ricco o capi del popolo. Sicuramente i poveri non potevano che scegliere gli ultimi posti, seduti per terra, rintanati in un angolo, aspettando qualcuno che porgesse loro qualcosa da mangiare. Gesù guarisce alla presenza di tutti quest’uomo andando contro la Legge che proibiva ogni opera taumaturgica se non nel caso di pericolo di morte. Ecco perché Gesù racconta la parabola degli invitati a nozze. Gesù vede come gli invitati si accapigliavano i posti migliori, mentre lui sceglie tranquillamente l’ultimo posto mettendosi dov’era quell’uomo malato e guarendolo. E qui entriamo in questo grande dilemma dell’umanità. L’uomo è più disposto ad occupare un posto piuttosto che ad abitare un luogo, è più disposto ad avere che ad essere. Occupare un posto nel mondo è sicuramente importante perché da senso alla nostra vita, ma dobbiamo eliminare la pretesa di darcelo noi questo posto. Egli perde la pace, la serenità perché intento ad occupare, a conquistare un posto nella società, nella vita di tutti i giorni. Noi sentiamo la necessità di avere un posto nella vita per essere riconosciuti, apprezzati, lodati. Noi tendiamo a guadagnare sempre più posti migliori. Quante volte diciamo di “non essere al posto giusto”, come per dire che non ci sentiamo realizzati di quello che facciamo? Se c’è un posto migliore perché non occuparlo? Se c’è la possibilità di “strappare” un posto migliore a qualcuno perché non farlo? Il mondo è visto come terra di conquista per accaparrarsi i posti migliori. È la vanagloria, la superbia e l’orgoglio che dominano il mondo e conducono l’umanità alla rovina. La vanagloria ci porta a pensarci quello che non siamo, ci porta a considerare l’altro sempre come un potenziale concorrente che impedisce ai miei sogni di diventare realtà. L’uomo non ha più bisogni da soddisfare perché ormai sono scontati, ma desideri da rincorrere e da crearne sempre nuovi. Ogni desiderio diventa buono per me se questo soddisfa il mio ego e la mia sete di felicità. Più uno ha desideri da soddisfare più aumenta nella classifica della visibilità del mondo. Mentre il mondo fa a gara per i posti migliori, Gesù sceglie volontariamente l’ultimo posto per un unico motivo: imparare a servire e ad amare. La vita cristiana non è una scalata, ma una discesa. È solo dall’ultimo posto che si vedono meglio gli altri che ti precedono. Chi vive di fede sa che è un Altro a scegliere il posto per te e quel posto va sicuramente bene. Gesù ci chiede di prendere volontariamente l’ultimo posto; sarà poi lui ad assegnarcelo su questa terra e per l’eternità: “vado a prepararvi un posto”. Come facciamo a scegliere volontariamente l’ultimo posto? Il libro del Siracide ci suggerisce come: “Figlio, compi le tue opere con mitezza… Quanto più sei grande, tanto più fatti umile”. Compiere tutto ciò che facciamo con spirito di mitezza ed umiltà; sono due facce della stessa medaglia. Tutto questo è fonte di grande pace e serenità che ci rende liberi dagli affanni della vita e ci rende aperti e disponibili verso i fratelli senza aspettarci il contraccambio: “imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita”.