Nella prima lettura viene narrato l’incontro di Abramo con Dio attraverso l’accoglienza di tre ospiti che poi si riveleranno come tre figure angeliche. L’ospitalità, considerata sacrosanta in queste zone desertiche, era la forma più diffusa e quella più praticata: diventava questione di vita o di morte; accogliere dei viandanti nel deserto equivaleva ad accogliere Dio stesso sotto la propria tenda. L’ospite veniva prima di se stessi e dei propri beni. La nostra cultura egoistica purtroppo ha rovesciato totalmente questo valore biblico radicato nella cultura cristiana. Con la scristianizzazione della società è venuto meno anche il valore dell’accoglienza e tutti facciamo esperienza dell’enorme difficoltà ad accogliere persone diverse da noi. Il sospetto, la paura, l’indifferenza, la desacralizzazione dell’uomo che c’impedisce di vedere Dio nei fratelli sono i nuovi mali e il peccato sociale del mondo di oggi. Questo brano ci dice due verità fondamentali: Abramo accogliendo questi pellegrini riceverà in dono la promessa di un figlio lo stesso giorno dell’anno successivo. Questo ci dice che Dio non si dimentica mai dei gesti di accoglienza che compiamo nei confronti di altre persone; secondo: riceviamo sempre una sorpresa da Dio. Quello che riceviamo è molto di più rispetto a quello che possiamo offrire. Questa è anche la logica che soggiace al brano di Vangelo che abbiamo ascoltato. Marta e Maria accolgono Gesù come ospite, ma sono diversi gli esiti di questa accoglienza. Marta pensa che sia importante accogliere Gesù con i suoi servizi; Maria invece si lascia accogliere da Gesù. Quello che Gesù ci vuole donare è molto di più di quello che noi pensiamo di offrire a Lui. L’Opera di Dio è molto più grande dei nostri affanni, delle nostre preoccupazioni, dei nostri problemi. Noi facciamo un po’ come Marta che rimproveriamo a Gesù la sua incapacità ad accorgersi di noi, delle nostre sofferenze, delle nostre preghiere ostinate magari patite anche per lui e non ci accorgiamo che Gesù ha da dirci qualcosa di più importante che è quello che sta già compiendo di meraviglioso nella nostra vita. Quando preghiamo, per esempio, siamo più preoccupati delle nostre necessità che non delle consolazioni, delle intuizioni, delle illuminazioni che lo Spirito Santo ci riserva nella nostra vita. Ci lamentiamo con Gesù e non siamo capaci a stupirci dei regali, dei doni che egli ci fa. Quante volte abbiamo detto: adesso incomincio a capire che cosa sta facendo il Signore per me? Oppure non ci avevo mai pensato? Grazie Signore di questo regalo inaspettato? In questa eucarestia che cosa porto con me che non mi verrà mai tolto? Spesso le nostre celebrazioni sono inconcludenti e quando torniamo a casa ci sentiamo più vuoti di prima. Fin quando non mi sento qui, in questo luogo, ospite e pellegrino, non potrò mai sperimentare le sorprese che il Signore mi vuole donare.

L’Eucarestia è la scuola dove noi impariamo a sentirci ospiti perché anche a nostra volta possiamo noi accogliere le persone con meraviglia e stupore nella messa che si celebra nella vita di ogni giorno. Chi pensa qui di donare qualcosa di se stesso a Dio non ha capito lo spirito della liturgia. Non siamo noi che facciamo un regalo a Dio, ma Egli che si regala a noi. Quando sperimentiamo la fatica, la noia, la fretta, l’insofferenza e nei peggiori dei casi l’accidia che è il vizio che ci fa provare noia e disgusto per le cose che riguardano Dio e le verità di fede, vanifichiamo l’Opera di Dio.


Sia lodato Gesù Cristo