Il testo della prima lettura ci narra un episodio che ci pone parecchi interrogativi. Abramo è nel mezzo di una guerra tra re che si coalizzano e si combattono e in questa storia di lotte cade prigioniero Lot, nipote di Abramo che egli stesso andrà a liberare. In questo contesto appare questo personaggio misterioso re e sacerdote Melchisedek che offre pane e vino. Nonostante i pochi versetti questo episodio ebbe grande risonanza nel nuovo testamento come prefigurazione di Cristo e dell’eucarestia. Nelle vicende oscure, faticose della vita di Abramo si situa quest’azione di grazie nella quale questo re e sacerdote benedice Abramo perché ha ricevuto protezione e salvezza dai suoi nemici. La vita ha sempre una duplice dimensione: le vicende terrene della nostra vita e l’azione di Dio che s’intrecciano tra di loro. Così anche nel racconto della moltiplicazione dei pani: una folla da rifocillare, il bisogno di mangiare e l’intervento di Gesù nella moltiplicazione dei pani. Di fronte ad un problema del genere l’uomo corre ai ripari, constata ciò che è umanamente impossibile, mentre per Gesù ciò che è impossibile all’uomo e possibile a Dio. Egli parte sempre dal nostro poco di umanità per fare grandi cose con la sua divinità. I santi non hanno forse messo in gioco quel poco della loro umanità e con l’aiuto e la grazia di Dio hanno saputo fare grandi cose?

Noi oggi celebriamo la festa del Corpus Domini: in questo sacramento s’intreccia l’umano con il divino; il pane con il corpo; il vino con il sangue. Quel poco delle specie del pane e del vino diventano il molto nel quale s’innesta il divino, tutta la sua umanità e divinità. Il Signore ci educa quest’oggi a desiderare questo “di più”; a non fermarci solo a quello che soddisfa la nostra fame e sete, ma attraverso questi elementi andare oltre e capire che c’è una fame eterna e una sete inestinguibile di verità, di gioia e di amore.

Paolo VI durante il congresso di Bolsena del 1976: “Come il pane ordinario è proporzionato alla fame terrena, così Cristo è il pane straordinario, proporzionato alla fame straordinaria, smisurata dell’uomo, capace, smanioso anzi di aprirsi ad aspirazioni infinite (Cfr. S. AUGUSTINII Confessiones, 1, 1). Noi abbiamo spesso la tentazione di pensare che Cristo non corrisponda in realtà ai bisogni, ai desideri, ai destini dell’uomo; dell’uomo moderno specialmente, che spesso s’illude d’essere nato per altro alimento superiore che non quello divino, e d’essere riuscito a saziarsi d’altre conquiste, che non quelle della fede, ovvero che sospetta essere la religione uno pseudoalimento, praticamente vacuo e vano”.

Ecco l’umano e il divino che s’intrecciano: c’è un pane proporzionato alla fame terrena e uno proporzionato alla nostra aspirazione di felicità, di bene. Mentre il mondo tende a racchiudere tutto il senso della sua vita e della storia nelle cose che è capace a manipolare, a trasformare, a governare con il suo ingegno e con la sua fantasia, Dio è capace a cambiare il mondo, la storia, a trasformare la nostra vita senza che nulla appaia esteriormente, senza stravolgere o violentare la natura in quel pane e in quel vino. Quel pane e quel vino consacrati a contatto con la nostra natura fanno di noi dei recipienti della misericordia di Dio.

Il pane materiale da solo non basta per vedere le necessità e le esigenze dei fratelli, occorre che noi diventiamo pane per gli altri. Gesù ha detto: “voi stessi date loro da mangiare”. Gesù non si riferisce al pane materiale, ma alla loro stessa vita che deve diventare un dono incondizionato per gli altri. Questo pane che il Signore ci da e che noi mangiamo evita di trovare facili soluzioni ai problemi degli altri, evita false giustificazioni, per avere un cuore grande e generoso come quello di Gesù.