La Pentecoste è il culmine del tempo di Pasqua. Con oggi finisce la rivelazione pubblica portata da Gesù ed inizia la rivelazione di Dio nella nostra vita. È il tempo nel quale noi viviamo il nostro essere credenti, è il motore invisibile della nostra fede, speranza e carità. È quella realtà che Dio ha scelto per stare sempre con le proprie creature se noi lo vogliamo e lo desideriamo. Sì, perché l’essere abitati da Dio dipende anche dal nostro desiderio. Il dono è garantito ma occorre credere a questo dono, altrimenti lo Spirito Santo non è in noi, fugge. La prima condizione perché lo Spirito sia in noi è la preghiera. Il trovarsi insieme indica che la prima comunità era in preghiera e noi sappiamo come per l’evangelista Luca la preghiera è la dimensione importante nella vita di Gesù e dei discepoli. Noi solitamente non siamo abituati ad invocare la presenza dello Spirito in noi, eppure è la prima preghiera con la quale dobbiamo rivolgerci a Dio. La seconda condizione è “amare Gesù”, cioè il desiderio di conoscerlo, ricercarlo nelle Sacre Scritture, osservare i suoi comandamenti. Metterlo al di sopra di ogni altro amore e non tra i tanti “amori” della nostra vita; anzi l’amore di predilezione per Gesù non esclude gli altri amori, ma da senso e significato a tutti i nostri affetti, perché il suo amore non è esclusivo ma inclusivo. “Chi non mi ama, non osserva le mia parola” e quindi non può venire a lui il dono dello Spirito. Terza condizione è quella di allontanarci dagli affetti disordinati della vita, da una vita morale disordinata, senza nessun punto di riferimento lasciandoci trasportare da quello che sentiamo sul momento, da quello che ci piace e ci va di fare, “va’, dove ti porta il cuore”, una vita esclusivamente guidata dai nostri sensi, dai nostri appetiti. Ricordiamoci che la nostra esistenza fa parte del mondo animale che se lasciata a se stessa e non è guidata dalla ragione e dallo Spirito porta inevitabilmente ad assecondare le nostre pulsioni. Una vita disordinata a lungo andare ci rende insensibili al bene nostro e al bene altrui. L’elenco che ci fa san Paolo è solo esemplificativo di questa vita che porta alla perdizione di se stessi. Anche qui si tratta di desiderare lo Spirito per camminare secondo le sue esigenze e non secondo le nostre che producono frutti di morte: “quelli che sono di Gesù Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e con i suoi desideri”. A volte ci sembra che lo Spirto sia una realtà vaga, astratta, ma è il grande dono di Gesù che la chiede al Padre per noi, la realtà più vera e concreta che vive nell’intimità del cristiano: realtà silenziosa e operosa. Se amiamo Gesù lui pregherà il Padre che verranno ad abitare nel nostro intimo: tutta la Trinità! Dovremmo rabbrividire al solo pensiero che noi siamo l’abitazione perfetta di Dio. La Santità che abita la nostra misera umanità. Maria è l’immagine perfetta e il modello di questa inabitazione di Dio. Guardiamo a lei, preghiamola di farci raggiungere dal suo stesso Dono perché se attraverso di lei Dio si è fatto carne, attraverso di lei la nostra umanità sarà innalzata fino a Dio.

Che cosa produce in noi lo Spirito? Non lo possiamo sperimentare fisicamente, ma possiamo intuirne la sua presenza dagli effetti e dai frutti come afferma san Paolo: amore, pace, gioia, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, dominio di sé. Ma c’è un altro dono che ci fa lo Spirito che è l’assenza di ogni paura, quella paura che abitava nel cuore dei discepoli nel cenacolo perché tutti avevano abbandonato il Signore. Lo Spirito dona il coraggio e l’ardore del cuore di portare Gesù a tutti. È l’ansia apostolica di chi si preoccupa e si occupa della salvezza di tutti gli uomini che incontra sul suo cammino, di portare l’amore di Cristo: un linguaggio che tutti possiamo comprendere e capire perfettamente perché Dio parla a tutti anche nelle nostre differenze.