In questa liturgia entriamo nel cuore stesso di Dio; nell’intimità dell’ultima cena scopriamo il disegno di salvezza del Padre per l’umanità. C’è un lungo preambolo che Giovanni ci fa pregustare per capire il senso di quella Cena, di quella Pasqua. Si tratta della manifestazione più alta e perfetta dell’amore di Dio per l’umanità. Quell’amore “sino alla fine” dice tutto: un amore che non si arrende alla sconfitta e alla passione che dovrà subire, un amore ostinato anche di fronte al tradimento e all’abbandono, un amore “consumato” fino ad esaurire le proprie energie, un amore che si svuota fino a non rimanere nulla per sé. La tentazione per la Chiesa per ciascuno di noi è quella di accontentarci di un “altro” amore più facile, più semplice da gestire, non sicuramente un amore così radicale nel quale ci sentiamo a disagio. Se la grande misericordia di Gesù non è presente nella comunità cristiana essa diventa semplicemente un’associazione orientata a secondi fini e l’unico problema sarà semplicemente una questione di leadership, di chi comanda e di chi obbedisce; una comunità incentrata non sulla corresponsabilità nell’annuncio del Vangelo a chi è lontano e distante, ma una comunità chiusa in se stessa, in piccoli gruppi, dove ci sono giochi di predominio, di disimpegno. C’è un amore finto, una misericordia falsa quando poniamo un limite, quando stabiliamo noi fino a che punto è possibile amare. C’è una disputa tra un amore apparente e un amore radicale. C’è sempre un fraintendimento di questo amore di Gesù. Pietro non ha forse frainteso questo amore radicale di Gesù nella sua vita? Ci sono due tipi di fraintendimento che Pietro attua nei confronti di se stesso e nei confronti di Gesù. “Tu non mi laverai i piedi in eterno”. Pietro mette un limite all’amore di Gesù: in sostanza lui si ritiene convinto di non aver bisogno di quell’atto amoroso di Gesù perché va oltre la decenza, la convenienza, perché è troppo questo amore ricevuto. Stabiliamo noi come Gesù ci debba amare! In secondo luogo Pietro vede Gesù come tutti i “capi”, i dominatori di questo mondo; non può assumere il ruolo di uno schiavo, di un servo! E quindi pensa che Gesù stia sbagliando fino ad arrivare a quel punto. Il nostro problema alla conversione risiede tutto qui! Pensiamo anche noi di mettere un limite all’ “indecenza” dell’amore del Padre. Solo attuando una carità senza fine, senza limiti, senza paletti possiamo prendere “parte con lui” alla sua eredità. Quanti cristiani, quanti di noi dicono a Dio come deve agire nella propria vita! Ma è proprio nell’eucarestia che noi ci scontriamo/incontriamo con questo amore “indecente” di Dio Padre. Nell’eucarestia, che noi celebriamo, incontriamo questo grande amore, che si rende accessibile a ciascuno di noi, perché possiamo praticarlo. Questo amore si attua prima di tutto nella comunità: “anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. I discepoli si perdonano, si aiutano, si accolgono reciprocamente perché il grande dono dell’eucarestia non diventi un possesso, un privilegio, una scusa per giustificarsi di fronte all’amore di Dio, ma diventi dono da custodire per mantenere viva la fiamma della carità della nostra comunità cristiana.

Sia lodato Gesù Cristo