Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo”. Nel momento di massima sofferenza per il servo di Dio, egli si mette nell’atteggiamento di discepolo. Il discepolo è colui che prima di tutto ascolta ed è in grado di indirizzare una parola a coloro che sono sfiduciati. Solo chi ascolta può consolare chi si trova nello smarrimento e nelle pene della vita. Non si tratta della parola arrogante, saccente di chi parla a nome proprio. Sappiamo come sia difficile l’arte di consolare e di aiutare chi si trova nella sfiducia: non sappiamo trovare le parole giuste. Chi si mette nell’atteggiamento del discepolo può diventare maestro per altre persone. Questo servo sofferente trova la completa avversione, subisce torture sapendo di non rimanere confuso. Da che cosa deriva questa ferma certezza? Dalla sua relazione con il Signore, con Dio. Quante volte anche noi nelle situazioni critiche della vita ci sentiamo smarriti perché ci appoggiamo solo sulle nostre forze e certezze senza prima avere un rapporto, un dialogo con il Signore, senza essere suoi discepoli, senza metterci in ascolto della sua Parola? L’esperienza del servo sofferente è quella di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Gesù non si lascia sopraffare dal dolore, non è ripiegato su se stesso, ma riesce a consolare chi si sente sfiduciato. Quanti personaggi ruotano attorno a Gesù senza averlo capito, senza entrare nella logica evangelica? Mentre attorno a lui ci sono divisioni, contese tra i suoi discepoli nelle quali viviamo anche noi, Gesù prega per loro; si rivolge con bontà alle donne, guarisce il servo ferito, perdona il malfattore pentito, rivolge il suo sguardo a Pietro che l’ha rinnegato, perdona i suoi crocifissori. Nella passione la misericordia di Dio si manifesta come mitezza e perdono.

La folla tornò a casa battendosi il petto. Anche noi siamo tra quella folla che si batte il petto: ci lasciamo perdonare da lui? Siamo pronti a vivere per lui, come lui è vissuto?

Sia lodato Gesù Cristo